Nato in Belgio da genitori francesi, Claude Lévi-Strauss (1908-1991) si laurea in filosofia a Parigi nel 1931. Orientato verso gli studi sociali, dopo essersi interessato al pensiero di Durkheim, frequenta i seminari di Marcel Mauss, così assumendo la centralità dell’aspetto mentale e categoriale tipica del suo strutturalismo.
Nel 1935 raggiunge il Brasile per insegnare sociologia all’Università di San Paolo, compito svolto sino al 1939. Sul campo, in Amazzonia e nel Mato Grosso, svolge ricerche destinate ad affluire più tardi nel 1955 in Tristi tropici.
Rifugiatosi negli Stati Uniti nel corso della guerra, definisce col linguista Roman Jakobson il metodo di analisi strutturalistico applicabile anche al campo antropologico. Tornato a Parigi, pubblica nel 1949 Le strutture elementari della parentela. Per lui sono elementi invarianti, comuni ad ogni cultura umana. Per Lévi-Strauss si tratta di verificare se nella molteplicità delle espressioni culturali ci possono essere relazioni fra i diversi elementi che restino costanti, nonostante il variare degli elementi stessi. Anche nella linguistica, considerata come l’unica scienza in senso proprio, per analogia, l’estrema varietà dei linguaggi empirici poggia su rapporti strutturali comuni.
Nell’opera l’origine del matrimonio esogamico è ricondotta alla proibizione dell’incesto. Questo tabù costituisce il presupposto di ogni società. La legge di esogamia è onnipresente e agisce in maniera permanente e continua, concerne dei valori – le donne – che sono i valori per eccellenza, così dal punto di vista biologico, come dal punto di vista sociale. È universale. La proibizione non è tanto una regola, che vieta di sposare la madre, la sorella o la figlia, quanto invece una regola che obbliga a dare ad altri la madre, la sorella o la figlia. È la regola del dono per eccellenza. Il tabù non ha una funzione biologica, bensì una funzione esclusivamente sociale. Senza, gli uomini non potrebbero sollevarsi al di sopra dell’organizzazione biologica per raggiungere quella sociale.
Si viene perciò a instaurare una rete di rapporti interfamiliari più vasta di quella consentita da un mero istinto naturale di tipo gregario, onde il costituirsi del primo nucleo della cultura. il primo elemento di differenza fra l’uomo e l’animale.
Tutti i sistemi di parentela sono riconducibili a un numero finito di combinazioni fra tre strutture elementari (matrimonio patrilaterale, matrilaterale e bilaterale) e due possibili forme di scambio : 1) ristretto, tra due popolazioni che si scambiano direttamente le donne ; 2) generalizzato, quando lo scambio è mediato da una serie di passaggi, come avviene nelle società complesse.
Tutte le strutture sociali sono sistemi di scambio: di donne (matrimonio), di beni e servizi (economia), di messaggi (linguaggio).
Allo stesso modo la linguistica, muovendo dai fonemi elementari, può ricostruire le combinazioni possibili e in base ad esse interpretare i linguaggi, inesauribili nella varietà empirica, ma riconducibili a poche strutture di base. C’è una identificazione ontologica fra struttura sociale e struttura linguistica.
Nel 1950 viene affidata a Lévi-Strauss la cattedra di religioni comparate all’École des hautes Études. Nel 1952 esce Razza e storia, una critica del razzismo e del carattere etnocentrico deell’idea di progresso propria della civiltà occidentale. Nel 1958 pubblica Antropologia strutturale. Anche nelle scienze sociali, seguendo l’esempio della fonologia, occorre individuare la struttura logica che sta a fondamento della varietà dei fenomeni culturali.
L’analisi strutturalistica consente di cogliere leggi generali, che sono le leggi del pensare umano, cioè gli schemi mentali mediante cui la realtà viene organizzata (infrastruttura inconscia, nel senso che non è intenzionale). Il principio fondamentale è che il concetto di struttura sociale non si riferisca alla realtà empirica, ma ai modelli costruiti in base ad essa. Il problema non è etnologico, ma epistemologico. Altrimenti l’antropologia sarebbe condannata, come è avvenuto in passato, a una semplice descrizione delle diverse culture, rinunciando a costruire una scienza fondata su leggi o costanti universali. Elogio dell’antropologia (1960), prolusione inaugurale al Collège de France, la presenta come sinonimo di un scienza generale dei segni o semiologia.
Del 1962 sono sia Il totemismo oggi sia Il pensiero selvaggio. Per pensiero selvaggio Lévi-Strauss non intende il pensiero dei primitivi, ma un pensiero allo stato selvaggio “distinto dal pensiero educato e coltivato proprio in vista di un rendimento”. Esso risulta permanente anche nella nostra cultura, inserito in un sistema di segni, in cui uomo e mondo si integrano a vicenda, in cui l’esperienza viene ordinata secondo tassonomie non arbitrarie, per quanto apparentemente bizzarre. Lévi- Strauss rifiuta l’opposizione assiologica tra popoli provvisti di storia e popoli senza storia. Pone l’accento sulle strutture sistematiche, sulla solidarietà che lega sincronicamente i loro componenti.
Quanto al pensiero magico esso non è l’opposto del pensiero scientifico, ma il presentimento della “verità del determinismo”. Le tassonomie del pensiero magico sono talvolta sorprendenti, ma rivelano la loro legalità e ragion d’essere analogica. Detto pensiero possiede anche efficacia operativa e terapeutica.
In relazione alla categoria del totemismo la sacralità attribuita a certe specie animali o vegetali, secondo cui si strutturano i gruppi di una determinata comunità, non ha importanza per le componenti religiose o affettive, né come interpretazione dei fatti naturali cui ci si riferisce, bensì vale come base per una classificazione logica della realtà e dei rapporti sociali. Il sistema logico che sulla base del totemismo viene a costituirsi si frappone fra l’uomo e la realtà, dando a questa un significato culturale.
Il mito è la forma logica attraverso cui il pensiero selvaggio esprime la propria visione della realtà. La struttura comune a tutti i miti è costituita da opposizioni e congiunzioni binarie e si ripresenta indipendentemente dalle diverse culture degli ambienti naturali in cui sono inserite e dal livello di sviluppo scientifico, tanto da caratterizzarsi come struttura logica innata. Il sistema di opposizioni binarie è una costante della mente umana. Il mito non è tanto una funzione del pensare, quanto pensiero oggettivato, pensiero che si pensa da sé. Il pensiero mitico è impersonale. Si rivela una struttura logica di cui nessun individuo è cosciente.
Rispetto a Kant e all’ipotesi di un intelletto universale l’etnologo preferisce l’osservazione empirica di intelletti collettivi, le cui proprietà solidificate gli sono rese manifeste da innumerevoli sistemi concreti di rappresentazione. Nulla, meglio della mitologia, permette di illustrare questo pensiero oggettivato. Pretendiamo di dimostrare come i miti si pensano negli uomini e a loro insaputa. Ne discende però che la scienza non viene considerata come costruzione di modelli e ipotesi suscettibili di revisione e perfezionamento, ma come qualcosa di predeterminato e univoco, che l’uomo può soltanto scoprire.
Le ricerche ultime di Lévi-Strauss fanno riferimento alla genetica per individuare un fondamento biologico alla struttura logica universale della cultura. Nella struttura genetica sono già scritte le strutture concettuali che danno vita a ogni fenomeno culturale.
Sul piano filosofico l’antropologo si scontra con lo storicismo, che giudica uno e irripetibile ogni evento storico. In contrasto con la filosofia della storia non esiste per lui alcuna evoluzione sociale, alcun progresso, se non come mera illusione etnocentrica di chi guarda al passato reputando che esso abbia avuto il compito di preparare il suo presente.
In polemica con Sartre Lévi-Strauss asserisce che compito dell’antropologo è studiare gli uomini dall’esterno, con distacco. Attacca l’ipertrofia del soggetto, che pone l’uomo al centro del mondo, staccandolo dalla natura, in cui va reintegrato, e si appunta sulla fragilità della nostra specie.
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