Il risultato delle elezioni americane di “medio termine” è da sempre l’indice di gradimento del presidente in carica.
Il primo martedì di novembre degli anni pari (non lo avete mai notato?) in America si vota e vanno a scadenza migliaia e migliaia di incarichi elettivi: negli anni divisibili per quattro si elegge il Presidente per un quadriennio e metà del senato, nella scadenza biennale successiva l’altra parte del Senato e la Camera dei rappresentanti.
Insieme con loro giudici statali e locali, sceriffi, sindaci, governatori giù giù fino ai procuratori delle imposte e perfino ai comandanti comunali dei vigili del fuoco.
È un sistema diverso dal nostro, ma di vera “democrazia diretta” e che soprattutto gli americani non intendono cambiare nell’ottica di un sistema maggioritario dove si valutano le singole persone ben di più dei due principali partiti (democratico e repubblicano) che si contendono Presidenza e Congresso ma che “contano” soprattutto (o soltanto) a livello politico nazionale.
Ovvio infatti che man mano si scende nella sfera locale più contano le singole persone, la loro esperienza e la qualità del compito svolto e succede molto comunemente che un elettore repubblicano voti un sindaco democratico e viceversa.
Tradizionalmente nel “middle term” il presidente in carica perde consensi: avvenne anche per Obama (soprattutto nel secondo mandato), ma – dopo le critiche che gli sono piovute sulla testa – Donald Trump era dato per spacciato ed i sondaggi (soprattutto quelli di CNN, Washington Post e New York Times, ovvero le più autorevoli voci “democratiche”) lo davano gravemente perdente.
Non è stato così: i repubblicani hanno perso sì la maggioranza alla Camera (come molto spesso era già avvenuto in passato) ma hanno conservato il Senato e sostanzialmente i governatori degli stati più importanti.
Insomma, questo insopportabile Donald Trump per la metà degli americani non era e non è quel personaggio idiota, sporco, brutto, cattivo, fascista, isolazionista, guerrafondaio, razzista, anti-ecologico, stupratore di femmine e in balia di lascive prostitute, eletto per sbaglio e solo per la criminale e subdola azione di Putin che aveva truccato i computer alle elezioni presidenziali.
Dovremmo riflettere allora innanzitutto sul fatto che questo folkloristico presidente USA non è evidentemente solo un personaggio pacchiano come è descritto in Italia, ma chiederci anche perché – pur dopo due anni di attacchi quotidiani, presunti scandali e richieste di impeachment – la certa ed annunciata “ondata blu” democratica, decisa a spazzar via lui e tutti i suoi scagnozzi, non è proprio arrivata.
Oggi Donald Trump non solo è politicamente vivo e vegeto, ma con le elezioni di metà mandato ha addirittura preso in mano il partito repubblicano USA (che due anni fa lo aveva subito, ma solo per obbligo di facciata) conquistando altri seggi al Senato e governatori importanti come in Florida.
Continuo a pensare che Trump abbia molti limiti, ma evidentemente piace agli americani, conquista la gente, parla fregandosene del “politicamente corretto” e soprattutto è un uomo concreto visto i risultati in un biennio dell’ economia USA.
Quella che piuttosto è davvero notevole è la preconcetta disinformazione italiana che – trasformando Trump quasi in un personaggio di italica politica interna – non ha ancora capito come magari Trump sia poco simpatico a Roma (e soprattutto nelle redazioni “progressiste”) ma per gli americani resta comunque più simpatico di personaggi come la Clinton ed altri leader democratici che sembrano lontani – piaccia o meno – dall’opinione pubblica USA.
Certo i repubblicani hanno perso la maggioranza alla Camera, ma la speaker del Congresso sarà ora proprio la radical-chic Nancy Pelosi, vecchia miliardaria saccente, ideale avversaria per Trump (vedrete che duelli!) e – visto che negli USA alla fine è il Senato a votare l’impeachment – il presidente su questo fronte potrà stare anche più tranquillo di prima.
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