“Voi italiani avete raggiunto il primato di una democrazia: avete due governi che governano contemporaneamente!” mi dice un amico olandese con un’aria un po’ impertinente. Contando sulla mia non facile capacità di comprendere l’inglese, simulo di non aver capito e mi allontano verso la macchinetta del caffè. L’amico mi raggiunge e mi affronta, questa volta, in francese. Avrei la fregola di rispondergli per le rime, ma mi trattengo e, sornione, gli replico: “Melius abundare quam deficere…”.
Dopo una giornata affannata, tra chiacchiere e discussioni serie, rientro in albergo, mi infilo sotto le coperte e rimugino il poco avveduto linguaggio dell’amico che conosco ormai da vent’anni e di cui so l’astio verso il mio bel paese in cui ha subito il furto del portafoglio!
“L’Italia ha due governi! Formalmente no perché il presidente del Consiglio è uno, anche se, ascoltandolo e vedendolo alla televisione, mi sembra dubbioso, titubante, un uomo che preferisce posporre i problemi perché non li conosce, proroga perché sa che nel suo governo non c’è una visione comune: è un avvocaticchio di provincia che crede di darla ad intendere ricorrendo al codice. Mi sembra risucchiato da responsabilità pubbliche che è incapace di affrontare. È assorbito, più che dai problemi da risolvere, dai continui vertici convocati per redimere le liti tra i due suoi vice, che sono in realtà i primi attori di questa commedia all’italiana!” – mi scervello.
“E se il mio amico olandese esprimesse una verità? In parte ha ragione: i due non sono legati da un programma di governo, ma da un contratto: quello che salva le proprie rendite elettorali, le proprie posizioni anche se sono incompatibili tra di loro e discostanti. Non governano per l’interesse di tutti, ma per il loro “popolo” (che tristezza sentirmi dire dal premier che “il popolo è la somma degli azionisti che sostengono questo governo”!). Non potrò, io che non li ho votati, riconoscermi dunque nel tricolore, nell’inno nazionale, nelle istituzioni comuni?” mi viene da pensare.
Quello di decantare il passato è un viziaccio antico, ma non riesco a convincermi che il tempo presente sia migliore di quello che ho sperato e che ho insegnato ad amare a due generazioni di ragazzi. Più rifletto e più mi convinco che le condizioni che hanno favorito la degenerazione del sistema politico siano la politica vista come potere e non come servizio, la frantumazione dei partiti e la mancanza di un’educazione civica.
Quando un movimento politico si regge su mere pretese di potere e il rapporto tra gli aderenti diventa tendenzialmente di natura clientelare, cade ogni sollecitazione ideale. Il potere è arrivato al punto tale di ottusità di diventare per taluni sinonimo di sapere: sono al potere e posso dire che i vaccini non servono, sono al potere e posso affermare di aver sconfitto la povertà con un decreto, sono al potere e posso sfrattare chi ha speso una vita intera nella ricerca, sono al potere e posso negare che i dati matematici di bilancio siano veritieri….
L’onestà intellettuale e la giustizia esigono di mostrare le contraddizioni delle autodifese che ripugnano alle persone pensanti e mettono sotto gli occhi di tutti le loro menzogne. Allora sarà bene non invitare i giovani a impegnarsi nello studio della storia e a mettere sotto accusa la libera stampa.
Mi chiedo se sono stati i partiti a frantumare la rappresentanza popolare o è stata la frantumazione della società che ormai da “liquida” sta diventando “gassosa”, come i fumi. Non ho dubbi: sono stati i partiti che hanno perso le loro idealità. Non esiste più la destra conservatrice e la sinistra progressista. Non saprei dire dove Norberto Nobbio classificherebbe le due forze che sostengono l’attuale governo: in economia una è per l’intervento del pubblico, l’altra per il privato; in politica estera tutte e due si dichiarano a parole europeisti, ma una guarda a Trump e l’altra a Putin; in materia di giustizia una è per l’inasprimento della pena, l’altra per la non prescrizione del reato dopo il giudizio di primo grado, una guarda agli interessi del sud, l’altra a quelli del Nord…
Uno dei due leader si mostra muscoloso, indifferente alle povertà e alle fragilità, altezzoso verso le istituzioni, volgare e imbarbarito nel linguaggio e nella mimica, strumento per alimentare i fermenti dell’odio. È sempre in mezzo alla folla, ma non in cerca di un autentico contatto umano. Recita la commedia fino in fondo e la colma di fandonie avvilenti per chi l’ascolta.
L’altro leader si traveste da agnello, è più compìto, sempre elegante nel suo abito con il quale nasconde la nudità dei suoi pensieri. Assomiglia a una marionetta in cerca di se stessa, mossa da fili invisibili, ma ben immaginabili. È sempre sorridente anche quando si affrontano temi dolorosi come le calamità naturali. Ha una forte disistima per tutto e per tutti ed usa un linguaggio ingarbugliato e talvolta zoppicante nella sintassi.
Tutti e due continuano ad assicurare l’opinione pubblica che la loro luna di miele continuerà nella dolce armonia del governare assieme nel rispetto del contratto. Tutti e due abusano della parola e contribuisce a creare nei giovani la mentalità che si può dire tutto e il contrario di tutto. Tutti e due non concorrono di certo a cercare e a rispettare la verità, che è la prima regola per educare una persona alla maturità intellettuale, emotiva e morale.
Il giorno in cui uno sfogo della debolezza del loro popolo li priverà di altre occasioni per compiere una giusta scelta, la condanna cadrà su di loro.
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