Ho letto con qualche sorpresa l’articolo “Ignorante no, distratta si” di Pierfausto Vedani pubblicata su RMF on-line del 9 novembre.
Mentre ringrazio l’autore per l’interesse mostrato verso il festival dell’Utopia, che organizzo da tre anni per conto dell’associazione Universauser, desidero precisare il contenuto di una mia lettera al direttore di Varesenews, su cui Vedani ha costruito il suo articolo.
Nella lettera non mi riferivo alla mancata partecipazione al festival dei varesini, ma, cito dalla lettera, “di rappresentanti di quella che un tempo si sarebbe chiamata ‘classe dirigente’, rappresentati istituzionali, della politica, dell’impresa e della finanza, delle associazioni”.
Da questa confusione Vedani prende spunto per attribuirmi pensieri che mi sono estranei, “pesanti giudizi su Varese” e “che siamo una città ignorante”, che non trovano alcuna corrispondenza in quanto ho scritto.
Al festival poi, non viviamo “Tanta solitudine e un così triste abbandono”, come sostiene Vedani, né soffriamo di inconsolabile delusione. Mi occupo di incontri culturali da alcuni anni e so bene di non dovermi aspettare folle sterminate, soprattutto per eventi che trattano temi impegnativi con lo strumento della conferenza e con un linguaggio argomentativo e meditato.
Se si eccettuano eventi con ricchi budget e sponsor, frequentati da ospiti noti al grande pubblico e di fama televisiva, e pubblicizzati con mezzi e risorse sideralmente lontani dai nostri, in ogni parte d’Italia il pubblico si conta a decine, non a centinaia o migliaia.
Nella sua prima parte il festival ha ospitato relatori provenienti da fuori Varese, che mi hanno manifestato apprezzamento per la qualità della partecipazione e dell’interesse, con domande, dialoghi e confronti che si protraevano ben oltre la fine delle conferenze.
Un pubblico non interessato a “far presenza”, ma desideroso di ascoltare, conoscere e riflettere e che inorgoglisce gli organizzatori.
Il mio dispiacere è che mentre a Roma lo stesso relatore parlava davanti al primo ministro Conte, al ministro Tria, a presidenti di Regione e Sindaci di grandi città, oltre che a numerosi parlamentari, a Varese, poche ore prima, non si sono viste persone investite di un ruolo pubblico.
Questa annotazione potrei ripeterla per molte altre occasioni in cui abbiamo trattato temi d’interesse economico, sociale e politico, di potenziale interesse di quegli stessi ruoli.
Il mondo si è fatto complesso, s’intrecciano crisi ambientali, economiche e sociali, avremmo tutti bisogno di strumenti e concetti adeguati a comprenderle meglio e mettere in relazione temi apparentemente lontani.
Ci si aspetterebbe che quest’ansia di conoscenza fosse propria anche di persone investite di responsabilità collettive, operanti sia in ambito pubblico che privato.
Dunque le domande che mi premevano, e che forse non sono riuscito ad esprimere con chiarezza, è “dove e come si forma il discorso pubblico? Dove e come s’incontrano e dialogano saperi e responsabilità per una proficua elaborazione di strategie collettive?”.
Non parlavo dunque di questioni varesine e di varesini, ma provavo a fare un ragionamento globale.
Quanto alla prosecuzione, desidero informare che il festival sta proseguendo con soddisfazione del pubblico, dei relatori e mia, e nella seconda parte sarà ospitato prevalentemente nelle aule universitarie per mettere in rapporto i giovani con l’utopia che, essendo rivolta al futuro, riguarda soprattutto loro.
Né mancherà, se ci sorreggeranno le forze, l’edizione 2019.
Fulvio Fagiani
(pfv) – Gentile lettore, capita anche ai campioni di fare autogol: io campione non lo sono, ma nemmeno ho commesso errori o letto male la sua lettera, semplicemente mi sono rifatto alle sue parole in due passaggi , il primo:
“C’era il consueto pubblico che partecipa agli eventi organizzati da Universauser, non c’era alcun rappresentante di quella che un tempo si sarebbe chiamata ‘classe dirigente’, rappresentanti istituzionali, della politica, dell’impresa e della finanza, delle associazioni.”
Il secondo:” In verità il disinteresse a Varese non l’ho riscontrato solo sull’Utopia sostenibile trattata da Giovannini, ma anche parlando di energia e tecnologie dirompenti, di futuro del lavoro, di economia solidale, di economia civile, di futuro del cibo e buona agricoltura, di clima o di periferie e molto altro ancora.
Non intendo qui riferirmi alla presenza d’ufficio o istituzionale, che non è mai mancata, ma alla presenza spontanea di chi partecipa per imparare, senza essere invitato esplicitamente e per suo solo ed esclusivo interesse.”
Al liceo il docente di storia della filosofia ci intrattenne a lungo su Tommaso Moro. Era un laico il nostro prof, ci educò al rispetto verso tutti proprio ricordando Moro e il suo scritto su un’isola che aveva chiamato Utopia E sottolineando anche il suo martirio perché in Inghilterra anche il Papa doveva sottostare ai regnanti. E Moro fu giustiziato.
Oggi, ma forse da sempre, è un’utopia sperare in un pizzico in più di rispetto verso la stampa. Lo dimostrano i fatti di Roma di questi giorni. Non mi lamento per la “rettifica” chiesta da Fagiani anche perché è la prima che ricevo in 65 anni di attività . Sì, sono uno degli ultimi mohicani, addestrati all’università dei marciapiedi e cresciuti a pane e volpe. E rispetto per tutti. A fatica anche per i politici.
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