Una formella della predella realizzata dal De Tatti per la chiesa di Santo Stefano a Rancate considerata ‘dispersa’. Due storici dell’arte che ne segnalano la presenza nell’elenco degli oggetti in essere presso la casa d’aste Koller di Zurigo e che ne raccomandano l’acquisto. Una direttrice, determinata e intraprendente, che è decisa a non farsi sfuggire un’opera di così elevato pregio. E i responsabili del settore culturale amministrativo del Cantone Ticino che appoggiano e sostengono l’idea di acquisirla.
Potrebbe essere l’incipit di un romanzo dal sapore ‘giallo’, cui seguono quesiti altrettanto intriganti: perché la formella del De Tatti è all’asta? Chi la vende? Che percorso ha seguito dal 1525? Chi ha smembrato l’opera destinata alla chiesa di Santo Stefano a Rancate e perché l’ha fatto? E gli altri frammenti dell’opera che storia hanno vissuto?
“È stato quasi naturale… costruire una mostra” partendo da simili premesse, una mostra che ruota intorno a un duplice tema, quello del De Tatti, analizzato e approfondito in ogni suo aspetto creativo, insieme ad altri pittori suoi contemporanei, e quello delle ‘opere’ di epoca e stile rinascimentale smembrate e disperse, alcune delle quali solo in questa occasione tornano nel territorio che ne ha visto la creazione”. Prosegue la dottoressa Agliati-Ruggia: l’obiettivo fondamentale di un museo ‘è studiare, conservare, recuperare opere e complessi divisi, procedere cioè in un lavoro di tutela del patrimonio artistico nel riconoscimento di una identità culturale’. Mostra e obiettivo rientrano a pieno titolo nell’ambito dell’anno europeo del Patrimonio culturale, bandito appunto per il 2018.
Tutte le opere presenti vennero realizzate nella regione ticinese-varesina: alcune hanno poi ‘varcato i confini e fanno parte oggi del patrimonio pubblico e privato italiano; altre hanno preso la strada del mercato e del collezionismo svizzero e internazionale, altre ancora sono state acquisite per il Museo Nazionale Svizzero, costituitosi nel 1898 con l’idea di offrire una rassegna di campioni di quanto si trovava nei vari Cantoni, per rafforzare l’identità e l’unità federale.’
Le opere sono tutte datate ‘cinquecento’, appartengono ad un arco temporale omogeneo, ma sono disomogenee per tipologia: sono tavole, sculture, marmi, disegni, vetrate, affreschi strappati, pale d’altare.
Per loro l’architetto Botta ha costruito un ambiente elegante ed essenziale: le ha ‘sospese’ su di uno sfondo nero-notte un ‘non spazio’ nello spazio museale, da cui emergono in tutta la prorompente ricchezza dei colori originali: rossi azzurri bianchi e soprattutto oro, memore della lezione di Carlo scarpa, le ha poste su cavalletti minimalisti, moderni, che accentuano il sapore non aulico ma domestico dell’esposizione; il legno di cedro del libano forgiato a Cantù, spande per le sale museali un aroma gradevole, casereccio.
La visibilità è favorita dal rispetto della mezzeria a 150 centimetri, l’altezza dell’occhio del visitatore, che riesce così al colloquiare anche con pale d’altare normalmente di difficile contemplazione perché collocate troppo in alto nelle chiese.
La mostra si è ampliata giungendo a comprendere un progetto di studio e identificazione di opere d’arte sacra, che, allontanate a pezzi dal Ticino, sono ora ricomposte temporaneamente secondo l’ originaria definizione.
La tavoletta ‘ritrovata’ del De Tatti è il ‘Santo Stefano davanti al sinedrio’: l’artista rende con sicura plasticità e caratterizzazione fisionomica il santo e i giudici che lo devono interrogare; sulla destra un soldato di dimensioni esagerate, quasi un simbolo della forza prevaricatrice del potere.
Si sente la frequentazione del pittore con maestri come Spansotti, Zenale e Bramantino, la cui lezione compare in più opere.
Nell’ampia selezione di tavole e disegni realizzati nel percorso creativo del De Tatti che sono esposti, riveste notevole interesse storico un disegno a matita, che arriva dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia: ‘la Madonna con il Bambino e i santi Rocco e Sebastiano’. La composizione è su due livelli, in alto la Vergine sulle nubi in cielo, nel registro inferiore i due santi genuflessi di fronte all’apparizione mariana, alle spalle una cinta muraria fortificata e un castello in cui si ravvisa il Castelgrande di Bellinzona, la prima raffigurazione della fortezza ticinese. Nel disegno, come chiarisce Jacopo Stoppa, è presente ‘lo skyline di Bellinzona prima della frana di Biasca’ che ha alterato la zona’.
Dalla chiesa di San Bartolomeo a Oxford, arriva la tela di Bernardino Luini, ‘la Madonna con il bambino tra i santi Giovanni Battista e Giuseppe e un membro della famiglia Quadri’, che era stata realizzata per la cappella Quadri della chiesa di Santa Maria degli Angeli a Lugano: l’opera era andata ‘dispersa’, così come il polittico di Callisto Piazza, inizialmente posto sull’altare maggiore della medesima chiesa, che è ora di proprietà di un collezionista privato.
Dal museo di Zurigo provengono le vetrate di ambito lombardo, della parrocchiale di Poschiavo che furono vendute quando nei Grigioni prevalse la volontà luterana di ‘tedeschizzare una chiesa ritenuta troppo poco seria, perché adorna di figure ed elementi naturali e colori e non in linea con gli austeri dettami ’ della Riforma.
Il ‘Cristo nel sepolcro’, oggi in carico alla collezione Ubi-Banca, è una composizione del De Tatti di grande spessore: l’incombente figura di Cristo con le braccia spalancate a mostrare le ferite richiama il San Sebastiano di Mantegna; nel nero assoluto dello sfondo si aprono due squarci di sapore leonardesco, uno riproduce il Golgota, l’altro l’apparizione del Risorto a Maria Maddalena.
Nel maestoso polittico realizzato per la chiesa di santa Maria di Brunello, sempre di mano ‘dettattiana’, si ravvisa una adesione al ’classicismo romano’ nella composizione e nelle figure plastiche, mentre gli sfondi ricchi di rocce, laghetti, montagne azzurrine, grotte risentono della lezione leonardesca.
La mostra consente di ammirare gli affreschi strappati dall’oratorio di San Bernardino a Gazzada, demolito nel 1961 perché ‘ semi-diroccato e pericolante’; dopo una lunghissima querelle si è confermata la mano del De Tatti nelle fisionomie gestualità costumi delle figure, nell’inquadramento prospettico nelle architetture di sfondo, che deriva dalla frequentazione di Bramantino. Tra gli ascoltatori ritratti nella ‘Predica di San Bernardino’ spiccano le ‘patrone dell’oratorio’, abbigliate secondo la moda del tempo, coi volti fortemente caratterizzati, e dagli sguardi intensi: sullo sfondo, alle spalle del santo, una chiesa che alcuni identificano come San Vittore.
Nel piano ammezzato del museo un altro caso intrigante: una sequenza di quattro tavole, estremamente simili tra loro, quasi fossero della stessa mano, che impone una riflessione sulla pittura rinascimentale lombarda; un gruppo di ‘Natività’ replicato: lo stesso impianto, la stessa disposizione delle figure, gli stessi sfondi… piccolissime le variazioni a volte la figura di Giuseppe, più o meno anziano, a volte un particolare nella resa della cesta su cui è posto il Bambino, o nella resa del bue e dell’asino.
Si può ipotizzare che esistesse un ‘modello’ che veniva ‘copiato’; a suffragare tale prassi la presenza di una copia tardo cinquecentesca del cenacolo leonardesco a Novazzano, e di un polittico di Brunello che è copia di un’Annunciazione di Raffaello…
Gli allievi delle scuole di pittura ‘memorizzavano’ e riproducevano, a volte con assoluta fedeltà, ciò che avevano imparato a copiare. Per le Natività esposte, provenienti da Tortona, Magenta, Milano, Amsterdam, è difficile stabilire quale sia il prototipo. Ciò nulla toglie alla suggestione che deriva dalla loro contemplazione: un fresco naturalismo, una pacata dolcezza delle figure, una serena resa del bue e dell’asinello e uno sfondo leonardesco che si staglia dietro la capanna.
Un ‘lungo omaggio’ è riservato a Johann Rudolf Rahn che tra Otto e Novecento si adoperò per la conoscenza e la salvaguardia dei monumenti artistici nel Cantone Ticino e realizzò i primi ‘Inventari delle cose d’arte e di antichità’.
Come consuetudine per la Pinacoteca Züst, accompagna la mostra un corposo esauriente catalogo edito da Casagrande, i cui testi, redatti da studiosi e critici con competenza e precisione, saranno indispensabili a chiunque voglia approfondire in futuro lo studio dei temi trattati.
La mostra, curata da Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, novelli Indiana Jones, e allestita da Mario Botta, rimarrà in calendario sino al 17 febbraio ed è visitabile da martedì a venerdì 9-12 / 14-18; sabato, domenica e festivi: 10-12 / 14-18. Pinacoteca cantonale Giovanni Züst Rancate (Mendrisio), Canton Ticino.0041 91 816 47 91; decs-pinacoteca.zuest@ti.ch; www.ti.ch/zuest.
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