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Apologie Paradossali

CELEBRAZIONI

COSTANTE PORTATADINO - 09/11/2018

I vincitori della guerra riuniti per il trattato di Versailles

I vincitori della guerra riuniti per il trattato di Versailles

(O) Mi sarei aspettato qualcosa di più solenne e, insieme, di più riflessivo per il centenario della fine della prima guerra mondiale, detta anche la ‘Grande guerra’.

(C) Anch’io; ma la spiegazione è semplice: non c’è più una memoria condivisa.

(S) Questo potrebbe valere per le celebrazioni ufficiali, retoriche e un po’ scontate, vista la divisione politica, culturale e persino sentimentale del popolo italiano, ma non per una riflessione storica autorevole.

(C) Confesso che una spinta ad occuparmi di questo tema mi è venuta dalla trasmissione di Vespa, in particolare dal sentir riproporre la vecchia definizione di ‘vittoria mutilata’, un concetto di comodo, usato nell’immediato dopoguerra per giustificare gli errori politici della classe dirigente liberale dare una giustificazione ai temi nazionalistici ed infine fascisti, che vi costruirono sopra una ‘narrazione’, come si dice oggi. Inoltre, non è inutile riflettere sulle inquietanti somiglianze che sempre più affiorano tre quei tempi e quelli odierni.

(S) Per non farti diventare prolisso, ti faremo domande molto secche, la prima: la vera causa fu l’attentato di Sarajevo?

(C) Poco più di un pretesto. Gli imperi centrali, Germania e Austria-Ungheria avevano attuato da anni una politica espansiva verso i Balcani, giustificata dalla decadenza dell’impero Ottomano e consentita dalla crescente debolezza sociale ed economica della Russia, tradizionale custode delle aspirazioni indipendentistiche dei popoli slavi. Val la pena di citare innanzi tutto che il primo atto di ostilità in questa zona critica fu la guerra dell’Italia contro la Turchia per il possesso coloniale della Libia, che portò anche a quello, difficilmente giustificabile anche in un contesto coloniale, delle isole greche del Dodecaneso. Da quel momento, Balcani e Mediterraneo orientale entrarono in fase critica, diventando la preda ambita dall’espansionismo economico tedesco, che si serviva all’uopo della presunzione politico-militare degli Asburgo, ansiosi di riprendere i predominio nell’Europa centrale, soffocando le aspirazioni serbe.

(O) Con questa premessa intendi caricare di responsabilità solo austriaci e tedeschi? Per fare la guerra bisogna essere almeno in due!

(C) Le condizioni poste alla Serbia con un ultimatum veramente strumentale erano troppo dure per essere accettate, sia dalla Serbia, sia dalla Russia, ma così erano state studiate dagli imperi centrali, proprio per colpire prima che la Russia potesse organizzare l’intervento. Avevano immaginato una specie di guerra-lampo, come nell’Ottocento.

(S) Questa è la seconda domanda: come mai e con quali nuove caratteristiche questa guerra fu più ‘grande’ delle altre e veramente mondiale’, smentendo del tutto i calcoli austro-tedeschi?

(C) La ‘ mondialità’ è ovviamente dovuta all’entrata in guerra degli Stati Uniti in un conflitto che inizialmente era stato solo europeo e addirittura regionale, nelle aspettative di chi l’aveva scatenato. Ma la novità fu che l’elemento decisivo, a lungo andare, divenne la capacità produttiva industriale dei rispettivi alleati, più che l’addestramento e il valore degli eserciti. La guerra di trincea, oltre che un nuovo tema tattico che inventava la guerra di logoramento, obbligava a mettere in campo tutte le risorse delle nazioni, vuoi industriali ed agricole, vuoi economico-finanziarie, oltre ovviamente a quelle umane. Quindi l’intervento degli Stati Uniti fu veramente decisivo, per far pendere da una parte la bilancia del potere militare.

(S) Veniamo all’Italia, il tema più discutibile e discusso, da noi. Fu veramente la scelta giusta? E fu decisiva la nostra partecipazione al conflitto con gli alleati?

(C) Sapete bene che con i ‘se’ non si fa la storia e nemmeno la si riscrive. La nostra partecipazione alla Triplice Alleanza non fu mai del tutto condivisa, anzi rinfocolò un certo irredentismo spontaneo, che divenne dilagante allo scoppio del conflitto, nelle più diverse realtà sociali, politiche e culturali, basti pensare a due personaggi opposti come il ‘vate’ Gabriele d’Annunzio e il socialista Cesare Battisti. Quasi nessuno sa che allo scoppio della guerra nel 1914, molto prima della nostra entrata in guerra, molti volontari partirono per combattere in Serbia contro l’Austria. La cessione di Trento e Trieste non avrebbe spento il fuoco irredentistico. Sarebbe stato difficile comunque mantenere una vera neutralità. Però, senza ricadere nella logica dei ‘se’, chiediamoci che cosa sarebbe successo all’Italia e all’Europa in caso di vittoria austro-tedesca o anche solo di una pace ad essi favorevole, come dettata dall’andamento del conflitto sui fronti principali per la maggior parte della durata della guerra? Certo, non avremmo avuto gli enormi lutti e i grandi danni economici, ma avremmo lasciato l’Italia nella condizione di un’appendice di un potente impero economico e politico austro-tedesco.

(O) E’ difficile dire quale assetto politico, economico e culturale avrebbe avuto ‘quella’ Europa, direi che con buona probabilità i conflitti successivi sarebbero stati altrettanto e forse più accaniti della stessa seconda guerra mondiale. Invece sarebbero potuti essere ben più positivi gli sviluppi della pace. L’intervento degli Stati Uniti, voluto dal presidente Wilson, esportò in Europa gli interessi americani, ma soprattutto difese la democrazia e i diritti civili e aveva un paradossale fine pacifista: instaurare un sistema di relazioni internazionali che ponesse fine alla guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali, se non per spirito di fraternità, almeno a causa del costo umano ed economico che si era rivelato insostenibile.

(S) Poi le cose non andarono così; loro per primi non parteciparono a questo sforzo ideale. Quindi concludete entrambi che pur con tutti i dolori e i danni la scelta di stare con gli alleati fu sostanzialmente giusta. La terza domanda è invece questa: cosa c’è di vero nel giudizio che afferma la prima vera unificazione nazionale sia sta compiuta proprio dalla guerra?

(C) Non dalla guerra come tale, in tutti i suoi aspetti e nel suo svolgimento complessivo, ma da quello che sinteticamente chiamiamo ‘il Piave’. E’ vero che migliaia e migliaia di giovani meridionali, siciliani e sardi videro per la prima volta regioni sconosciute del loro Paese, varcarono il mare o videro la neve per la prima volta, soprattutto sentirono parlare e ricevettero ordini in italiano; che anche la vita di trincea fece crescere cameratismo e conoscenza delle diversità, ma i sacrifici e la vicinanza della morte provocarono più estraneazione e disperazione, per tutti i primi due anni e mezzo di guerra. Fu la rotta di Caporetto, la ritirata e la difesa obbligata di una terra che si sentiva molto come propria che le famose ‘terre irredente’ o il ‘campo d’onore’ della tristissima canzone dedicata a Gorizia e bollata come ‘disfattista’, a cementare non solo una volontà di resistenza militare, ma un vasto movimento di solidarietà nazionale. Quante famiglie profughe dal Veneto sono state accolte dalle nostre parti e qui sono rimaste anche dopo la pace, per inserirsi nel più sviluppato sistema produttivo lombardo? Non la vittoria come tale, ma la resistenza alla possibile devastazione della propria ‘casa’ ha costruito un pur parziale sentimento nazionale unitario. Ebbe un effetto positivo anche lo sforzo produttivo industriale necessario per rifornire l’esercito.

(O) un’altra domanda: davvero la pace ha tradito l’Italia, restituendoci una vittoria ‘mutilata’?

(C) Questo giudizio fa parte della peggior retorica della politica, quella che talvolta rende certe paci più dannose delle guerre che le hanno precedute. I danni della pace di Versailles non furono soprattutto per l’Italia, che forse vide deluse più ambizioni da grande potenza che legittime aspettative civili e politiche, furono piuttosto danni per la quasi totalità dei popoli centroeuropei, divisi e ricuciti in nuovi stati a vocazione nazionalistica, ma in realtà costruiti su basi strategiche ed interessi economici delle potenze vincitrici. L’errore su soprattutto quello di voler punire in modi diversi, entrambi gravissimi, ma incongruenti con lo sviluppo futuro di un’Europa prospera e pacifica, Germania e Austria. La Germania, spogliata militarmente ed economicamente si nutrì per quindici anni di fame e rancore fino all’avvento di Hitler, ma restò sostanzialmente una grande potenza ferita, quindi un futuro pericolo di vendicativa rivincita. Peggio capitò all’Austria, ridotta agli antichi territori di lingua tedesca degli Asburgo, peraltro detronizzati e banditi (la salma dell’imperatore Carlo, successore di Francesco Giuseppe è tuttora confinata all’estero). Non si capì che un’Austria non troppo indebolita ed umiliata sarebbe potuta essere, come era stata per molti secoli, il contrappeso ideale ad un possibile rinascente imperialismo tedesco. Ne diventò invece una delle prime prede solo vent’anni dopo, paradossalmente per opera di un austriaco, trasferitosi a Monaco e germanizzato dal rancore antioccidentale e antidemocratico.

(S) Qui ti fermo, per non consentirti di annoiare troppo i lettori e traggo le ovvie conclusioni del tuo scenario: l’Europa è una realtà troppo fragile, sia a guida antitedesca come dopo la prima guerra mondiale sia che lo sia a guida tedesca, come oggi. Sempre per il tuo amore per i paradossi, sembri sostenere che oggi la Germania stia commettendo con l’Italia e la Grecia gli stessi errori che i vincitori di cento anni fa commisero nei suoi confronti.

(C) Non proprio gli stessi, ma la tendenza è molto simile. Ma allora, sfortunatamente, la capacità industriale tedesca, lasciata potenzialmente intatta, fu indirizzata deliberatamente verso l’industria bellica. Ovvio che l’Europa non corre lo stesso rischio con noi, ma corre il rischio di disgregarsi, dopo aver ottenuto, seppure in maniera imperfetta, il risultato straordinario di una sostanziale vicinanza e coesione tra popoli ancora così diversi per tradizioni cultura e storia recente, anche solo pensando ai trentacinque anni trascorsi all’interno del sistema sovietico dai Paesi ex-comunisti.

(O) Il mio compito, non per niente mi chiamo Onirio, a questo punto è solo quello di fare memoria di quello che cent’anni fa è stato un sogno non solo italiano, ma europeo: iniziare un’epoca di pace dopo tanti sacrifici. Oggi non veniamo da una guerra sanguinaria, ma sì da una lacerante crisi economica globale, che pare sull’orlo di un possibile peggioramento: affrontiamola cercando unità d’intenti, invece che effimeri interessi territoriali o elettorali.

(O) Onirio Desti (C) Costante (S) Sebastiano Conformi

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