Vorrei avere l’abilità del tessitore per intrecciare la trama del vissuto quotidiano con l’ordito degli eventi che hanno segnato recentemente il corso dei nostri giorni.
Desirée è stata trovata morta in una zona di Roma, fra gli sterpi, dopo essere stata drogata e stuprata. Ormai la morte di giovani donne è diventata una banalità e questa abitudine al male ormai non ci sorprende più, come se fosse improvvisamente scomparsa e sostituita dal mito del buon “uomo selvaggio” germinato dall’illuminismo. Ai funerali, partecipatissimi, i presenti hanno applaudito, lanciato palloncini colorati, portato grandiose composizioni di fiori. La pietà oggi non lascia più spazio neppure al silenzio, al ripensamento, al dolore che dovrebbe abitare una stanza del nostro cuore.
Lasciamo da parte gli assassini: il male non è esclusiva solo dei giovani magrebini. Qui siamo responsabili tutti perché delle pratiche di certi agglomerati umani in cui si gestisce la droga, si pratica lo stupro come mezzo di sollazzo e di sopraffazione, si vive la debolezza della famiglia e la fiacchezza educativa della scuola siamo spettatori inermi. Abitiamo tutti in un mondo naturalmente inclinato ad un male abissale che sembra impotente ad innalzare degli argini a questa emergenza educativa. E il risultato è l’esistenza di una generazione spesso perduta in un deserto di noia.
Voglio pensare a Desirée. Aveva sedici anni e si è infilata in quell’inferno: quale disperazione allevava nel petto? Quale dolore interiore l’ha trascinata fino alla morte? Possibile che non abbia cercato l’aiuto di qualcuno che sapesse accogliere quel suo modo d’essere e la guidasse a scoprire la bellezza della vita? Possibile che una ragazza di sedici anni non abbia avuto l’ardore di aprire il suo cuore a un sapiente capace di riempirlo di un aiuto, di una parola buona, di una speranza?
Sì, un padre può generare biologicamente, ma poi si dimentica di generare anche spiritualmente i propri figli, lasciati orfani di senso.
Sì, la scuola può essere noiosa ma per questo non può diventare divertente, invece che interessante. Non è che forse la scuola confonde la conoscenza con l’informazione, misura la cultura di un giovane dal numero dei libri letti, ma non compresi? Non è che ha soppresso la poesia a scapito dei cosiddetti progetti che tali restano perché non vengono mai realizzati? Non si è forse creato una disarmonia tra cuore e ragione? Non si è ridotto la ragione a pensiero calcolato, votato all’utile e al pragmatismo cieco? Non sono forse gli stessi docenti ansiosi del programma da terminare o preoccupati delle scartoffie da compilare piuttosto che di educare?
Sì, la società, le nuove tecnologie, i “grandi eventi” alludono solo al divertimento, a ciò che di-verte, che è diverso, estremamente nuovo per combattere la noia del “sempre uguale”. E la cultura del “grande fratello” viene scambiata per realtà.
Sì, l’epoca in cui viviamo ha ridotto il pensiero separandolo dalla capacità di meravigliarsi, di contemplare. Un adolescente senza meraviglia, senza rapimento, senza il calore di un affetto non può vivere. Come potrà sognare? Come farà amare? Come farà a non soccombere di fronte al dolore?
Davanti al dramma di Desirée provo dolore, anche sdegno, persino ira, ma pessimismo no. Anche a lei il Padre sarà andato incontro perché l’Amore unisce gli impossibili. Al funerale tutti diventano buoni: scompaiono tante magagne, tanti errori, tanti limiti e risuonano i piccoli atti di bene che anche Desirée avrà compiuto. Lui l’avrà sollevata da quel terreno incolto e desolato e avrà avuto pietà per lei. Perché Lui ci vuole bene. Ma bene davvero. E così anche il male suona discordante.
Scrivo questi pensieri dopo aver partecipato alla commemorazione del centenario dell’ “inutile strage”. Ho pensato a mio zio caduto sull’Isonzo e che ora riposa a Redipuglia, ho ricordato le mie escursioni giovanili sul Pasubio, sullo Spitz, sull’Ortigara, sul Grappa, al Laiten di Asiago e fremo al pensiero che coprivo con i miei amici quei luoghi di silenzio con le cantate, le risate goliardiche, gli scherzi burloni e non pensavo al mondo mutilato, ai profughi che andavano verso il nulla, ai carnefici che andavano all’assalto. Sono morti giovani come Desirée e avevano ancora tempo e energie. Hanno terminato di respirare in una trincea o in un ospedale da campo, dopo aver lottato per fare qualcosa di “eroico” come dicevano. Penso che accanto a loro ci fossero un commilitone, un tenente medico o un infermiere o un cappellano. Accettavano la morte perché avevano consuetudine con l’infinito e conoscevano la loro finitezza.
A Desirée sono mancati la vicinanza dell’umanità e il senso dell’infinito. Ma anche per lei, come per tutti i giovani che muoiono compiendo il bene o sfidando il male, l’amore e la verità devono vincere sull’odio e sulla menzogna, presenti sotto le apparenze del godimento offerto da un veleno.
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