Viviamo un’epoca di profonde trasformazioni sociali, culturali ed economiche ma la mostra che si è aperta in questi giorni al Quirinale (“Il 1938 e l’umanità negata”, aperta fino a gennaio 2019) e inaugurata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, checché ne dica il comico miliardario Grillo, è garanzia di una interpretazione fedele della nostra storia e della nostra cultura.
La mostra tratta delle famigerate leggi razziali fasciste del 1938 ed è un viaggio nell’abisso vissuto esattamente 80 anni fa da una famiglia ebrea, strappata a Trastevere e finita ad Auschwitz. Un tuffo nell’orrore, con il vagone della morte ricostruito perfettamente, dove in un terribile viaggio i bambini e gli ebrei adulti venivano inghiottiti nel buio più efferato della storia.
Il filo spinato dei lager si alzava spazzando via le speranze di milioni di vite umane, tolte al loro destino da una violenza che non ha però insegnato granché all’uomo contemporaneo. Un tempo si uccideva per dei pascoli o una preda, poi per difendere le presunte razze elette, oggi si uccide in nome di un Dio (in Siria, in Libia o nell’Africa sub sahariana), le cui conseguenze sono le migliaia di profughi che riempiono da anni, con complicità e connivenze mafiose, i barconi della speranza e della morte.
E la “Difesa della razza” di allora somiglia purtroppo a un certo serpeggiante razzismo contemporaneo fatto di carte astruse, politiche immigratorie sbagliate, chiusura dei porti ai disperati, permessi di soggiorno negati, respingimenti disumani, e chi è contro la pelle nera, che ricordano seppur in modo democratico la più grande tragedia della storia mondiale.
I poveri li avrete sempre dice il Vangelo ma quel che è di più grave è la ghettizzazione dei disperati e i derelitti, cui viene relegato chi non appartiene alla razza “eletta”. Ecco le stazioni, le aree dismesse, il rifugio dei miserabili, le orribili baraccopoli, fatte di cartoni, plastica e degrado, basta pensare dove è stata uccisa la ragazzina a Roma, ecco che in ogni città ognuno ha il proprio quartiere San Lorenzo.
Per rivivere e ripercorrere questo dramma basta fare un giro per Varese nei luoghi che sono costretti a frequentare i migranti, o ancor peggio nel salotto buono della città dove la questua giornaliera ne è la conseguenza più avvilente dove certi fanno parte dell’arredo urbano, fuori dai panifici rinomati, dai supermercati, o dai bar o dai caffè più frequentati, dei poveracci con il cappello in mano, sicuramente vittime di una delle solite “mafiette” da caporalato di provincia, che vengono relegati ai margini e nei sotterranei della storia per irretire la pietà dei cittadini.
Così come le condizioni di schiavitù a Gioia Tauro per la raccolta dei pomodori o a Bolzano per le mele, ridotti in schiavitù in condizioni disumane per dieci, venti, euro al giorno.
Non è la carità di cui hanno bisogno, credete, non è questo che la venuta a cercare in Europa, perché i veri poveri di cui parla il Vangelo non sono questi ma chi non ha la forza né il coraggio di chiedere, chi cerca la dignità di una vita umana decente per se e per i propri figli. Ecco, questo è quello che non vogliamo, né noi né loro e dobbiamo fare in modo che questo non accada.
Contrapposta alla normalità di un’altra parte d’Europa, in Belgio chi ha accettato di fare parte di una comunità pur mantenendo le tradizioni delle proprie origini si è integrato con il rispetto delle regole, la lingua e la costituzione, oggi fa parte di un tessuto sociale prezioso e vitale.
Mechelen è una piccola e pittoresca città, ricca di fascino e di storia, con moltissimi graziosi negozi, aree pedonali e bellissime piazze. La grazia degli antichi palazzi e la bellezza delle chiese che affascinano tutti i visitatori furono offuscati qualche anno fa dallo stesso problema dei migranti che affliggevano la bellezza dei luoghi con il loro bagaglio di indigenza e povertà. Finché l’arrivo di un sindaco, Bart Somers membro dei Liberali e democratici fiamminghi aperti, di cui ne è stato anche presidente ed ex ministro e presidente delle Fiandre, si badi bene non un sindaco di sinistra, un nazionalista convinto, ebbe la brillante idea di investire nella “diversità”, con un federalismo fiscale vero. Raddoppiò le scuole per immigrati, abolì la questua per strada, responsabilizzò i cittadini a occupare i posti dove v’era il loro bivacco ozioso, triplicò le videocamere per la sorveglianza nei punti strategici della città, investì in scuole di ogni ordine e grado assumendo gli extracomuniatri, facendoli diventare parte integrante e responsabili della vita attiva e culturale della città. Insegnando la sacralità della vita e il rispetto della cultura reciproca.
Così in pochi anni Somers ha cambiato i connotati di una città riducendo al minimo la delinquenza e lo spaccio di droga e ha insegnato che una cosa è il ruolo, un’altra è la politica, ma che insieme possono diventare una grande opportunità di convivenza e crescita civile.
Ed è la razza umana a vincere facendo di Mechelen il fiore all’occhiello non solo di una nazione bensì dell’intera Europa, senza badare agli schieramenti politici e mettendo nel cassetto l’ideologia, a favore di quel bene comune tanto predicato da tutti e raramente applicato.
Nell’era globale siamo tutti figli di un meticciato internazionale dove esistono ricchezza e povertà ma una sola risposta per il bene pubblico. Nessuno avrebbe pensato che i profughi di ieri a Mechelen sarebbero diventati in pochi anni gli artigiani e gli insegnanti di oggi, che la delinquenza sarebbe diminuita dell’85% e che il pil della città di sarebbe incredibilmente raddoppiato.
La “nuova razza”, frutto di una straordinaria intuizione ha fatto di un problema, quello dei profughi, il valore aggiunto a una città. La più eletta delle razze forse è proprio questa. E magari anche per Varese non sarebbe mai troppo tardi.
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