Nell’ora del passaggio del bastone di comando di Rettore dell’Università dell’Insubria da Alberto Coen Porisini, erede nel 2012 del creativo Renzo Dionigi, a Angelo Tagliabue, eletto nel luglio scorso, vale forse la pena azzardare qualche considerazione su un ateneo a due teste – Varese e Como – il cui seme di concepimento risale all’ormai lontano 1972 quando per gemmazione da Pavia nacquero al Circolo i primi corsi di medicina e chirurgia.
Le cifre esposte al Consiglio comunale lunedì 29 ottobre, dal rettore uscente e da quello entrante, raccontano un’Università in salute: le matricole passate da 2200 nel 2012 a 3600 lo scorso anno e il totale degli iscritti giunti a quota 11.300 rispetto ai 9500 di sei anni fa. Anche le classifiche di qualità dicono che a Varese e a Como si studia seriamente, che il rapporto professori-studenti è produttivo, che le due sedi esercitano una certa attrazione ben oltre i confini dei due capoluoghi che le ospitano. Insomma un bilancio positivo, una risorsa di intelligenze e un patrimonio di conoscenze molto cresciute negli ultimi vent’anni con benefici importanti per il tessuto produttivo. Ma con un limite per quanto riguarda la sede di Varese, ormai storico e difficilmente emendabile, quello della scelta di un “campus” periferico rispetto al centro cittadino. Tanto è vero che entrambi i rettori, al momento in coabitazione, riconoscono, sia pure sotto traccia, che i rapporti funzionali tra la città giardino e l’Insubria non sono ottimali.
Girando per il “campus” di Bizzozero si avverte in effetti una sensazione di isolamento e di distacco rispetto al cuore della città. Scomodando Dino Buzzati si potrebbe parlare dell’Insubria come di una sorta di Fortezza Bastiani del sapere. Faticosa da raggiungere sia coi mezzi privati sia con quelli pubblici, con un’unica via di accesso, via Ottorino Rossi da poco resa più decorosa e attrezzata – marciapiedi, luci e verde – dalla giunta Galimberti, e tutto sommato abbastanza inospitale. Chi si reca saltuariamente nel “campus” ha la sensazione di trovarsi in un altrove posticcio e artificiale.
Forse quando si costruì il nuovo monoblocco del Circolo sarebbe stato opportuno uno scambio di aree: spostare in toto in via Rossi l’intero Circolo riutilizzando anche gli splendidi edifici del vecchio Psichiatrico e trasferire l’università negli spazi di Villa Tamagno. Si sarebbero raggiunti in un colpo solo due obiettivi come, con solitario coraggio, sosteneva inascoltato il politico di lungo corso Giuseppe Adamoli: decentrare i servizi ospedalieri e avvicinare l’Università al centro di Varese. Tra l’altro l’ospedale in via Rossi, essendo un generatore di traffico motorizzato, avrebbe spinto le amministrazioni comunali ad affrontare in modo organico il problema dei collegamenti ancor oggi catastrofici nelle ore nevralgiche lungo viale Borri.
Si fece la scelta opposta e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. “Decentrata come è ora, l’Università non incide né sulla vita sociale e culturale, né sulle attività economiche della città. È un corpo avulso, destinato a restare tale.” Così in Semi di città, nel settembre 2015, gli esperti del Movimento civico Varese 2.0 prima che fosse avviato il trasloco completo a Bizzozero con il conseguente abbandono del vecchio Collegio Sant’Ambrogio peraltro a suo tempo ristrutturato per le esigenze dell’ateneo.
Di sicuro sarebbe stato più saggio mantenere nella vecchia sede almeno le facoltà “leggere” di economia e giurisprudenza non bisognose di laboratori attrezzati, il rettorato e gli uffici dei presidi di facoltà. Fu un’opzione quanto meno affrettata, probabilmente influenzata anche dal frettoloso Masterplan di Piazza Repubblica, oggi superato dai fatti, che prevedeva uno sfruttamento speculativo della collina del Montalbano. Si è così nei fatti rinunciato a connotare Varese come città universitaria e ad avere negli studenti dei possibili protagonisti della vita cittadina oltre che dei naturali creatori di domanda economica. Né basteranno a renderla tale il potenziamento dei trasporti e la creazione di alloggi dedicati alla popolazione studentesca invocati dai rettori.
La Cattolica di Milano, da qualche decennio in debito di spazi, non ha decentrato nelle periferie, ma ha al contrario pensato a un articolato “campus” urbano acquisendo dallo Stato la monumentale caserma Garibaldi di Piazza Sant’Ambrogio. L’esatto contrario dell’Insubria.
Tuttavia la cesura determinata dalla totale migrazione a Bizozzero potrebbe essere mitigata da un ritorno al Montalbano o in altre residenze qualificate con nuovi indirizzi specialistici e master aggiuntivi. Si andrebbe così verso un ulteriore potenziamento dell’offerta accademica locale capace di rendere l’Insubria competitiva, per alcuni indirizzi, con Milano e più appetibile e concorrenziale sul fronte della Regio Insubrica, anche grazie ai nuovi collegamenti ferroviari con il Cantone Ticino e il comasco.
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