L’altro giorno, mentre cercavo di resistere all’ondata di nausea che i battibecchi dei nostri politici mi provocano sempre più spesso, sono stata improvvisamente distratta da un intenso profumo che mi ha offerto una via di fuga.
Sarà capitato a tutti di essere catapultati in un’emozione o in una situazione del passato da un profumo particolare.
Quello dei fichi maturi, per esempio, mi riporta all’infanzia in Calabria, quando i fichi venivano fatti seccare al sole e poi tagliati a metà, “conzati” con mandorle, noci e scorzette d’arancia, sovrapposti a croce e trasportati in grandi leccarde di ghisa al forno di Marietta, dove venivano arrostiti. Il loro aroma invadeva le strade del paese, promessa di festa e di abbondanza, di luci natalizie, di presepi, di incontri amicali, di calore umano.
Il profumo del pane appena sfornato, ovunque lo senta, ha per me qualcosa di consolatorio, mi evoca un complesso di sentimenti, di consuetudini, di convinzioni difficilmente spiegabili e separabili, non prive di una certa sacralità.
Quando, sul finire di gennaio, comincio a percepire odore di terra bagnata, già sento la primavera alle porte.
Ma il profumo che l’altro giorno mi ha distratto dal chiacchiericcio pseudo-politico è stato un altro: quello dell’olea fragrans. Simile al gelsomino, ma meno dolce, più pungente e più fresco, è quasi primaverile, benché si diffonda alla fine dell’estate, in genere nel mese di settembre. Invece, grazie al clima mite, ora si è fatto sentire anche in queste giornate di ottobre avanzato.
E d’improvviso mi ritrovo ventenne, studente pendolare su un treno dai finestrini aperti, che mi riporta a casa dopo un esame superato con successo; e poi sulla mia strada, quando ancora costeggiava un parco e il cemento non l’aveva stravolta, quando nelle sere di settembre disegnavo, passeggiando con le amiche, le future primavere.
Ora le primavere sono quasi tutte alle spalle e il profumo dell’olea fragrans mi ricorda che è già arrivato il mio autunno e che dovrei vivere ogni giorno come fosse l’unico, che non dovrei più rimandare a domani ciò a cui tengo. Struggente, non saprei definirlo in altro modo: al tempo stesso promessa di primavera e annuncio d’autunno, metafora della vita in un respiro.
E mi stupisce che una cosa tanto effimera ed evanescente possa essere evocativa, efficace e significante più di qualunque discorso.
Il bla bla dei nostri politicanti, nel confronto, si ridimensiona: un fastidioso ronzio da allontanare con un gesto. E intanto la nausea mi è passata.
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