Adesso ci si deve augurare che a Matteo Salvini e alla sua Lega il successo non faccia perdere la testa. Sia in Trentino che nell’Alto Adige/SüdTirol — le due Province Autonome con poteri legislativi di cui la relativa Regione è soltanto un’esile cornice – nelle elezioni provinciali svoltesi ieri la Lega ha trionfato. Con il 35,34 per cento dei voti è il primo partito nel Trentino mentre il Pd si riduce al 14,73 per cento in un territorio che era stato una delle sue roccaforti.
Nell’Alto Adige/ SüdTirol la Lega si afferma come leader assoluto tra gli elettori della minoranza di lingua italiana raccogliendo oltre il 28 per cento dei voti nella città di Bolzano e l’11,1 per cento nella Provincia nel suo insieme. Qui, osserviamo per inciso, qualcosa si è mosso, ma non in modo altrettanto clamoroso, anche in quella maggioranza degli elettori che è di lingua tedesca. La Südtiroler Volkspartei è infatti scesa dal 47,5 al 41,9 per cento dei consensi mentre il Team Köllensperger, un nuovo partito in qualche modo paragonabile ai 5 Stelle, con il 15,2 per cento si è affermato quale seconda forza politica della Provincia.
Con il 2,95 per cento dei voti nel Trentino Forza Italia si è ridotta invece ai minimi termini mentre nell’Alto Adige/SüdTirol è addirittura sparita dalla scena. Il Movimento 5 Stelle si conferma poi come un partito con poco seguito nel Nord Italia: nel Trentino raccoglie il 7,10 per cento dei consensi e il 2,4 nell’Alto Adige/SüdTirol.
Ci si deve augurare, dicevamo, che a Matteo Salvini e alla sua Lega il successo non faccia perdere la testa, ma invece li stimoli ad attrezzarsi per non deludere le grandi speranze di cui stanno diventando il magnete anche non per merito loro.
La Lega si spiega infatti anche in quanto fenomeno politico che si colloca nell’alveo di un processo di dimensioni internazionali: quello che già in precedenza in alcuni commenti abbiamo definito un’insorgenza antigiacobina alla scala planetaria. Non solo in Europa ma un po’ ovunque nel mondo da qualche anno a questa parte i partiti di orientamento laburista e/o radicale cedono il passo a forze definite dai loro critici “populiste”, “sovraniste” e così via. È un processo iniziato in Asia e in Europa già prima della vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali americane del novembre 2016, ma che da essa ha poi ricevuto forte impulso. Malgrado la continua campagna contro di lui della stampa americana più diffusa, tutto lascia pensare che Trump uscirà rafforzato dalle ormai imminenti elezioni di metà mandato. Viceversa ad esempio in Canada, dove tra un anno si voterà, i liberali (in realtà radicali) del premier Justin Trudeau, vedono ormai ridotto al minimo il loro già forte vantaggio sull’opposizione. Secondo un recente sondaggio sulle intenzioni di voto degli elettori canadesi, Trudeau e i suoi hanno soltanto un punto percentuale in più del principale partito di opposizione, il cui programma non è lontano da quello di Trump. Infine in Brasile il candidato di centro-destra alla presidenza della Repubblica, Jair Bolsonaro, è il probabile vincitore del voto di ballottaggio in programma il prossimo 28 ottobre.
Anche in Italia come altrove la mobilitazione della grande stampa contro questi candidati e le forze che li sostengono sortisce l’effetto contrario. Tanto forte sono il disincanto per la sinistra e la voglia di voltare pagina che gli elettori, in una maggioranza così vasta da non poter che essere popolare, danno ai partiti di centrodestra anti-establishment un credito per così dire “a busta chiusa”.
È un’occasione da non sprecare, diversamente da quanto a suo tempo fece Berlusconi sprecando un’occasione analoga con i risultati che si sanno. Avvicinandosi le elezioni europee diventa sempre più forte il rischio che nella Lega non pensino ad altro; che cioè il pur cruciale obiettivo tattico di uscirne altrettanto vincitori metta in ombra l’urgenza strategica di dotarsi di tutte le competenze e gli strumenti magari non necessari per vincere ma di certo necessari per governare. In tale prospettiva già non fa poi un buon effetto vedere come non venga sin qui usata la grossa carta della concessione dell’ulteriore autonomia alla Lombardia e al Veneto, dimenticandosi dell’esito plebiscitario di due referendum popolari; e di come non si stia facendo tutta la politica estera che occorre per riposizionare adeguatamente il nostro Paese nel contesto sia euro-mediterraneo che internazionale in genere.
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