Qualche anno fa un nostro ministro ebbe parole di elogio per le tasse e molti rimasero parecchio perplessi. Lui era il ministro al bilancio di quel governo ed a lui i conti sarebbero tornati più facilmente se tutti le avessero pagate. Il comune cittadino le vive diversamente e le vede tasse eterne, antipatiche, da odiare, sanguisughe, da pagare per civismo, con desiderio di modificarle, tasse importanti o nemiche, tasse necessarie o inutili, tasse viste come sostegno dello Stato o vissute da sudditi, tasse condonate, eccetera.
Le problematiche legate a questi contributi, come sopra detto, rendono difficile parlarne con serenità. Dovrebbero essere il fondamento della vita civile di una comunità. Ma quale comunità? Tutta la nostra nazione? Dovrebbe, ma ci sono poi comunità subalterne: quella regionale, quella provinciale, quella comunale, quella parrocchiale (un poco in disuso quest’ultima, a dir la verità), quella dei partiti politici, le associazioni sportive, quelle culturali e così via ed ognuna con la sua tassetta: devi fare la tessera. Chiamiamole sottocomunità a cui si deve dare anche tanto tempo, a seconda della capacità di donare, a seconda delle “tue passioni” – dicono alcuni – a seconda delle “tue manie” – dicono altri, soprattutto le mogli. Concludendo: in un modo o nell’altro siamo tutti coinvolti nelle benedette – maledette tasse, ossia nel dovere togliere soldi dal nostro portafoglio, che vogliono sostituire con la carta di credito, ossia con una tesserina piena di cosine misteriose, ma che rende più difficile controllare tangibilmente, concretamente, i soldi del conto corrente che vengono e vanno; e quest’ultimi ti sembrano sempre “quelli più tanti”. Conto corrente: bella definizione, più passa il tempo più corre veloce, in senso sempre negativo ovviamente.
In effetti, un sacco di nuove tecnologie ti tolgono la possibilità di controllare bene ciò che spendi e controllare è una necessità importante per non “trovarti in bolletta”, ossia senza denaro. Facciamo un esempio: ricordi il vecchio contatore della luce? C’era un dischetto che girava dietro un vetrino e i suoi giri erano contati da numerini ben visibili. Se volevi capire quanta energia ti consumava il ferro da stiro, andavi a vedere la velocità del dischetto e dei numerini dopo averlo acceso. Adesso hai un bianco oggetto, con carrozzeria aerodinamica, con lucette che col loro brillare dovrebbero farti capire il consumo che fai, ma non hai più i numerini. È un po’ come i codici a barre sulle cose che comperi al supermercato: inizialmente veniva stampata anche la cifra in numeri arabi (alla faccia dei razzisti: le cifre che noi usiamo comunemente sono d’origine araba), ora i numeri non ci sono quasi più. C’è solo il prezzo sugli scaffali. La doppia indicazione è scomparsa prima sui farmaci ed ora è rara su quasi tutti gli articoli. Così tu, povero tapino, se vuoi renderti conto di quanto spendi, sei costretto a salti mnemonici per rammentare i prezzi. Che sia per farti fare esercizio anti Alzheimer? Quindi sono benemeriti? Poi, mentre sei così concentrato, incontri un conoscente, un amico, che è lì anche lui a fare la spesa; si chiacchiera e non ricordi più la somma che avevi memorizzato con tanta fatica.
Torniamo alle tasse: noi sentiamo d’essere efficacemente controllati, purtroppo in modo ispettivo e poco consultivo. Eppure, nonostante la rigida ispezione, gli evasori sono numerosissimi. ? una perfida attività culturale molto diffusa. Perchè attività culturale? L’evasore pensa di essere schiavo, suddito e si sente oppresso dalla comunità che chiama in modo sprezzante “stato”; quindi deve boicottarlo. L’evasore è rimasto indietro di secoli, deve sfuggire e imbrogliare lo stato- principe oppressore che depreda il popolo. È noto che senza evasori tutti pagheremmo molto di meno.
Noi cittadini varesini abbiamo un senso civico ben presente e collaboriamo, anche se per noi è poi impossibile controllare il ritorno reale dei vantaggi che dovremmo ricevere in quanto contribuenti. Ci dobbiamo fidare e noi generosi lo facciamo, ma abbiamo la netta sensazione di essere sempre un po’ gabbati, sfruttati. Ci sentiamo vicini alla figura di Pantalone, maschera della commedia dell’arte nata secoli fa a Venezia, evoluta poi con Goldoni dal lascivo avaro riccone nell’anziano padre di famiglia che deve sempre pagare per mantenere in piedi la baracca.
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