Per dare un’idea di quanto il sistema massmediatico continui ad essere condizionato dalla cultura “giacobina”, che finora vi predomina, ho pensato di fare tre casi, uno di attualità internazionale e due di attualità nazionale.
Il primo caso, su cui mi soffermerò di più, è quello del clima. Nei giorni scorsi hanno fatto il giro del mondo delle catastrofiche previsioni sul futuro della Terra sulla quale incomberebbe il rischio certo ed imminente di un riscaldamento insostenibile. La notizia è stata innescata dalla pubblicazione degli esiti dell’incontro dell’IPCC, svoltosi a Incheon (Sud Corea) nei giorni 1-5 ottobre scorsi. L’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change) è un gruppo di lavoro dell’Onu di cui fanno esclusivamente parte studiosi di un certo orientamento. Chiunque non condivida l’ipotesi che la Terra si stia riscaldando in modo catastrofico, e che ciò avvenga a causa delle attività umane, non viene chiamato a farne parte.
Ne vengono così tenuti fuori, tanto per fare un esempio, gli esperti di sei diversi Paesi, guidati dal prof. Richard Millar dell’università di Oxford, i quali hanno accertato che le temperature del globo non stanno affatto aumentando al ritmo previsto dall’IPCC, e che molto probabilmente nel 2100 la loro crescita rispetto a quella registrata alla fine del secolo XIX sarà al massimo di 1,5 gradi centigradi. Nei giorni scorsi le conclusioni dell’IPCC hanno fatto invece il giro del mondo spacciate come se fossero l’esito assolutamente certo di ricerche scientifiche indiscutibili.
In realtà non è affatto così. Alcuni scienziati le sostengono, ma moltissimi altri giudicano nient’affatto accurate le ricerche su cui si fondano; e sostengono il contrario con robusti argomenti. Oltre che con le critiche sul piano scientifico, per le quali rimandiamo ad esperti come appunto quelli del gruppo dell’università di Oxford citato più sopra, la tesi dell’origine antropica delle variazioni climatiche deve fare i conti che le smentite che le vengono dalla storia. Si ha infatti ampia prova di diverse e rilevanti variazioni climatiche in epoche pre-industriali in cui l’attività umana aveva sull’ambiente un’incidenza ben poco diversa da quella degli animali selvatici.
La grande stampa avrebbe quantomeno dovuto dare notizia del fatto che sulle conclusioni dell’IPCC non c’è affatto quel generale consenso degli scienziati di cui si dice. Invece si è guardata bene dal farlo, e non l’ha fatto per un preciso motivo: perché la tesi dell’imminente, catastrofico riscaldamento globale di origine antropica gioca a favore della rinascita di modelli di pianificazione centralizzata dell’economia, questa volta addirittura alla scala planetaria, che il fallimento dei regimi di “socialismo reale” aveva fatto uscire di scena alla fine del secolo XX..
Veniamo ai due casi di attualità nazionale. Uno è quello della scuola statale. Lo Stato italiano spende per la scuola circa 50 miliardi di euro all’anno quasi esclusivamente per la scuola statale. Sono tantissimi soldi spesi malissimo; spendendoli molto meglio si potrebbe con molta minor spesa fare una scuola ben migliore dell’attuale. A quella paritaria vanno circa 500 milioni di euro (pari a poco più dell’1 per cento della spesa totale). I fatti sono questi.
Le poche migliaia di studenti italiani su circa 8 milioni scesi in piazza nei giorni scorsi si stracciavano le vesti per il taglio di 100 milioni di euro che il governo si propone di fare a tale spesa; e non sono mancati slogan contro i finanziamenti alla scuola paritaria. Qualcuno si sente di dire che l’eco data da tutti i maggiori telegiornali a tali manifestazioni, culminate con l’arsione di pupazzi che effigiavano Di Maio e Salvini, ha consentito al pubblico di farsi un’idea equilibrata dei termini della questione?
L’altro caso è quello delle proteste contro la presa di posizione del comune di Verona in tema di aborto. Una ragionevole iniziativa che fra l’altro non è affatto “contro la legge n. 194” con cui venne legalizzato. È a favore di quella prima parte della legge, sin qui mai applicata, che impegna le istituzioni a fare tutto il possibile perché all’aborto si faccia ricorso il meno possibile. Facendo la cronaca di una manifestazione di protesta organizzata a Verona da gruppi anti-abortisti La Stampa titolava oggi in prima pagina “Se le donne guidano il ritorno in piazza”. Lo stile leninista, sessantottino, di questo titolo dell’influente quotidiano torinese è impressionante. Vivono in Italia oltre 28 milioni di donne rispetto alle quale quelle che partecipavano alla manifestazione di Verona erano una minoranza insignificante. Ciononostante secondo La Stampa erano “le donne”, ovvero rappresentavano l’intero universo femminile italiano. Ci sono delle interessanti pagine di Lenin in cui si insegna come accreditare e come fare uso a fini rivoluzionari di equivoci del genere. Evidentemente nelle stanze dei bottoni della stampa più influente sono ancora in molti quelli che continuano a pensarla così.
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