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Cara Varese

CLASSIFICA DEI SINDACI

PIERFAUSTO VEDANI - 19/10/2018

palazzoAvendo letto il mio articolo nel quale avevo manifestato apprezzamento per Raimondo Fassa, primo sindaco leghista di Varese, sono stato simpaticamente sfidato a stilare una classifica dei “miei” sindaci, quelli che ho conosciuto come giornalista. Ho accettato, ma solo riferendomi a singoli momenti della loro attività: ne uscirà una classifica incompleta e largamente soggettiva.

Cronista giudiziario a Como in Assise conobbi un avvocato di notevole preparazione, Lino Oldrini, che era sindaco di Varese, città e territorio di provenienza di imputati dei quali era difensore. Tutta la squadra bosina, che viveva di commercio di frontiera, era finita nella gabbia della corte d’assise comasca con l’imputazione di rapina perché immaginava che fosse solo una truffa travestirsi da finanzieri per bloccare, con tanto di paletta, e sequestrare sulla statale per Milano un “trasporto” di fastidiosi concorrenti lariani.

Il pubblico ministero Mario Del Franco mai aveva avuto dubbi e in udienza aveva chiesto la condanna degli imputati per il reato di rapina. Quando fu il turno degli avvocati, Oldrini seppe scavare alla grande nei cuori e nella mente dei giudici popolari tratteggiando cupamente il profilo standard dei rapinatori, persone così diverse e lontane dai reati tipici dei contrabbandieri, gente che la società civile mai aveva emarginato.

Un processo per rapina in una atmosfera ben diversa da quella “normale”, con imputati certamente da punire però il difensore aveva cercato di essere convincente anche sul piano del diritto limando abilmente gli spigoli del reato di rapina.

Fu così che Oldrini ebbe addirittura un rarissimo onore delle armi da parte del pubblico ministero: Del Franco infatti, che aveva preannunciato una replica già prima delle arringhe, avendo intuito che avrebbe perso il processo, vi rinunciò. Condanna per truffa, ma non fu così in appello a Milano dove per le false fiamme gialle arrivò la razione, sia pure non pesante, di carcere perché anche se non violenta, si trattava pur sempre di rapina.

Fu breve la mia esperienza come cittadino amministrato da Oldrini, al mio arrivo a Varese seppi che il destino si sarebbe portato via un grande uomo e un bravissimo sindaco che aveva avviato la positiva risposta istituzionale al cammino della città verso lo storico boom.

Dopo una brevissima supplenza di Carlo Martinenghi il timone passò a Mario Ossola: i suoi 14 anni a Palazzo Estense avrebbero accompagnato, e più volte anche pilotato, l’ascesa della città e del nostro territorio in campo economico e anche sportivo. Ricordo volentieri Ossola anche per la sua grande integrità e il suo amore per la musica: gli riuscì di portare a Varese notissimi maestri e al Palasport ci fu più gente rispetto a quella che seguiva la grandissima irripetibile Ignis.

Se ne sarebbe andato dopo 14 anni perché, lui membro attivo della Resistenza, pur essendo in buonissimi rapporti personali con gli esponenti varesini del Pci, non credeva nell’eurocomunismo berlingueriano in marcia verso i piani alti della gestione del nostro Paese.

Fu grandissimo Ossola nel cedere il timone della città al giovane Gibilisco e a restare come consigliere comunale senza mai fare il sindaco ombra.

Oldrini e Ossola ebbero politicamente al loro fianco un solo partito, la DC: infatti dopo che la Sinistra con Bonfanti e Cova aveva guidato la città dall’aprile del 1945 al 27 maggio del 1951, fino al 15 maggio del 1978 fu la DC a scegliersi il primo cittadino, Arturo Dall’Ora e Oldrini nell’ordine prima di Ossola.

Con Gibilisco apertura invece a PSDI e PSI e ai repubblicani, formula che con qualche variazione (Verdi e Pensionati) sarebbe durata sino all’arrivo della Lega e di Fassa. I repubblicani per un anno avrebbero affiancato la Lega, poi subentrarono liste civiche sino al 1997.

Di Gibilisco mi piace ricordare l’azione culturale sviluppata assieme a indimenticabili assessori laici come Caminiti e Speroni e, in relazione al Sacro Monte, l’attenzione al restauro delle Cappelle e al coinvolgimento nel recupero del “varesino ombra” Renato Guttuso. Il tutto sulle orme anche di don Pasquale Macchi, vero angelo custode della nostra Madonna e del suo culto.

Dopo Gibilisco, immagino accantonato dal suo partito e anche dal movimento ciellino perché… inadatto ai tempi di una politica che, tutta, nessun partito escluso, come ebbe a sottolineare in Parlamento e in tv Bettino Craxi, si era incamminata verso i “mercati” dei finanziamenti anomali.

Sabatini e Bronzi hanno vissuto da sindaci proprio quel tempo, 1985-1992, Bronzi ne uscì tutto sommato presto e bene, per Sabatini ci fu un calvario. Anni dopo si è scoperto che erano ben altri che lucravano alla grande infangando anche la memoria di don Giussani. E ancora oggi nessuno ha spiegato il silenzio DC-CL sulle accuse a Sabatini. Una vergogna se si è voluto dirottare l’indagine su un sindaco risultato più povero di quando era entrato in politica.

Crisi profonda dunque a Palazzo Estense nell’estate del 1992, con tutti impegnati a trovare una via d’uscita a una situazione intricata che rischiava di pesare moltissimo sulla città.

Ma se si cercava davvero una persona eccezionale, stimata da tutti occorreva semplicemente restare nell’ambito del Consiglio comunale dove c’era Angelo Monti, riferimento mite e positivo del gruppo di galantuomini che seguivano il popolarissimo oratorio di via San Francesco.

Lo feci notare su “Luce”, nella mia rubrica “Cara Varese” non per calcolo politico – sono sempre stato alla larga dai partiti – ma perché meravigliato che nessuno avesse pensato a un vero signore, a una persona mite, sempre impegnata in azioni concrete a favore degli ultimi, di formidabile trasparenza: Angelo Monti.

La mia segnalazione fu condivisa da Gianni Spartà su La Prealpina: nessuno aveva pensato al silenzioso ma attivo Monti, il governo cittadino venne subito formato ma con un’altra novità ancora più rivoluzionaria: vicesindaco una persona cristallina, di grande spessore umano e di ottima preparazione come il giovane comunista Daniele Marantelli.

La strana ma bellissima coppia restò in carica13 giorni perché qualche galletto democristiano trascurò la giusta pignoleria dei giudici che in un amen tirarono il collo a lui e alla Giunta. Non si poteva andare oltre la seconda crisi comunale: era settembre, per gennaio si era già pronti al previsto e anche temuto decollo dell’era leghista. Per quattro mesi a sorvegliare e gestire la città ci fu Umberto Calandrella, straordinario commissario prefettizio con l’amore sincero per Varese e la sua comunità.

Lega rozza ma dilagante e tuttavia Raimondo Fassa fu sindaco veramente di profilo: l’ho ammirato in particolare quando fu lui a chiudere il rapporto con la Lega quattro anni dopo la sua nomina, era il mese di novembre del 1997.

Se i varesini dovessero scegliere il miglior sindaco della Prima Repubblica è probabile che indicherebbero Mario Ossola per la sua attenzione a mobilità, sport, Università e cultura, mentre con la Seconda Repubblica io darei la palma ad Aldo Fumagalli arrivato a palazzo con l’indicazione diretta dei cittadini. Varese ha avuto due importanti aiuti da leghisti che erano a Roma: Bossi, su pressione del rettore Dionigi, fece avere un notevole finanziamento per l’Università, per la quale nel partito c’era solo grande attenzione da Massimo Ferrario, presidente della provincia; la seconda grande opera cittadina fu il raddoppio del raccordo autostradale imposto all’Anas da Maroni ministro dell’Interno.

Fumagalli con una Giunta nella quale c’erano docenti universitari e bravi professionisti imboccò la strada giusta, ma quando si abbassò il livello della squadra arrivarono le difficoltà e il timoniere perse la rotta.

Ma se guardiamo agli obiettivi raggiunti essendo il Carroccio al potere, uno solo dei grandi problemi ancora irrisolti da quasi mezzo secolo trovò soluzione, provvisoria ma comunque dignitosa: Varese, grazie a Fumagalli, con il teatro tenda chiuse, sia pure non definitivamente il buco nero aperto con l’abbattimento del Teatro Sociale.

Con Fumagalli, prima in solitario poi accompagnato da Forza Italia, Alleanza Nazionale e i cristiani UDC, la storia si chiuse dopo otto anni con l’arrivo di un altro commissario prefettizio, Sergio Porena, che da solo resse bene il Palazzo per alcuni mesi prima del decennio di Fontana sindaco.

Eccoci a un primo cittadino costretto a gestire con pochi soldi la più penosa delle carestie nazionali. La Lega puntava tutto su Roma e, in pieno accordo con il clan Berlusconi, non dava nemmeno le briciole alla gente della sua terra.

Dieci anni di nulla non potevano non avere conseguenze e la Sinistra, sbeffeggiata in tutta Italia a favore dei giovani dilettanti oggi al governo centrale, cacciava in buca il Carroccio e altri firmaioli della arroganza del potere sui varesini i loro primi elettori.

Fontana? La sua nomina a governatore di Lombardia la interpreto come un risarcimento da parte del clan carroccista, lo ricorderò sempre come una persona per bene e paziente, ridotta al silenzio dal partito.

Non ho mai condiviso però il silenzio di Giunta e intero consiglio comunale sulla gravità delle conseguenze della presunta riforma sanitaria alla lombarda che a volte mi sembra un attentato alla salute dei cittadini, ma non lo è.

Hanno ben diversa preparazione tutti i riformisti seri e oggi la nostra sanità è nelle mani di veri pasticcioni.

Ed è ora che la città pensi all’autodifesa e che ci sia più attenzione anche da parte della magistratura.

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