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Parole

AFFABULARE, CIOE’ INSEGNARE

MARGHERITA GIROMINI - 12/10/2018

Massimo Recalcati

Massimo Recalcati

Non c’è processo educativo senza una forte relazione empatica tra chi insegna e chi impara.

Su questo aspetto del processo di apprendimento concordiamo, credo un po’ tutti, indipendentemente dalle diverse idee sull’educazione.

Ne ha parlato lo psicanalista Massimo Recalcati, ospite del Festival del Premio Chiara.

Ha intrattenuto magistralmente un vasto uditorio raccontando che si può insegnare, anche oggi, ma solo appassionando e appassionandosi.

La parola dell’insegnante, da qualche tempo e con mia meraviglia definito da taluni “maestro”, deve avvincere gli studenti, far innamorare della materia, spingere a desiderare la scuola, indispensabile ambiente di vita e non invece, cosa che accade troppo spesso, luogo subìto come tributo da pagare agli anni della crescita.

I giovani si possono salvare grazie ai maestri che, quando sanno essere efficaci, aiutano i ragazzi a non cadere nella trappola delle dipendenze.

Non è solo teoria quella di Recalcati: è esperienza vissuta in prima persona da studente difficile.

Se non ci fosse stata la scuola, se non fosse stato per “quel” professore, anche lui avrebbe fatto una brutta fine, come tanti coetanei con cui è cresciuto a Quarto Oggiaro, problematica periferia milanese.

Se non ci fosse stata la scuola si sarebbe perso, come numerosi ragazzi della sua generazione, quella di fine anni ’70.

La vera prevenzione, quella primaria, la possono fare gli insegnanti, ogni giorno, proprio a scuola.

Ci lamentiamo del vuoto di cultura che caratterizza il nostro tempo. Ma si rischia di riempirlo, quel vuoto, con la droga o con gli oggetti sostitutivi, come vestiti e cellulari di ultima generazione.

Grande responsabilità, quella dei docenti.

Se i ragazzi si annoiano, si distraggono, si addormentano, significa che siamo in presenza di un non-maestro. Un maestro invece tiene svegli, entusiasma, “erotizza”, spiega con un termine che potrebbe farci sobbalzare, e invece no, perché nella parola “eros” ci sono amore e passione verso il mondo, verso la persona che ci offre il suo sapere a sua volta ricevuto da un altro maestro.

Che cosa ricordiamo dei maestri che ci hanno lasciato un segno, come spiega l’etimo del termine “insegnare”? Prima di tutto il loro stile, la loro voce che prendeva corpo nell’aula, il loro manifesto piacere di essere lì, in quello spazio e non in un altro, a insegnare a noi.

“Il vero maestro è quello che porta il fuoco, che brucia, che ustiona”, afferma Recalcati, capace di colpire, risvegliare, riattivare l’interesse, mantenerlo sempre vivo.

Insegnare la stessa materia per lunghi anni, magari trenta e più, è un compito faticoso che costringe il maestro a cercare nuove forme per suscitare amore per la scuola nei ragazzi così diversi ogni nuovo anno.

Quando accade il miracolo di incontrare insegnanti veri, vivi, ricchi di passione, i genitori possono esultare. Perché non è facile incontrarne: ce ne sono, ma non tantissimi. Anche se a ciascuno di noi è senz’altro capitato di incontrarne almeno uno, quando eravamo studenti. E, grazie al cielo, anche da genitori, persino nella scuola di oggi diventata terra di lotta senza quartiere.

Dopo anni di pseudo aziendalismo scolastico, ammettiamolo pure: abbiamo perso troppo tempo con la scuola delle tre “i” (inglese, impresa, informatica): urge ritornare ad occuparsi, a tempo pieno, della scuola come ambiente di incontro, di esperienza, di educazione e di istruzione non assoggettati a logiche di mercato.

Nell’affollata platea riunita attorno all’affabulatore, chiede la parola un ragazzo che pone la domanda delle domande: “Noi studenti cosa possiamo fare per accendere nell’insegnante quel fuoco che spesso gli manca?”. Domanda insidiosa.

Recalcati si avventura in un tentativo di analisi della formazione dei docenti, che è notoriamente carente, soprattutto sul piano relazionale.

Per concludere, un po’ frettolosamente, che “Non tutti sono portati all’insegnamento”!

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