… e mamma Coniglia arrivava e risolveva ogni problema. Era la tipica trama dei nostri libretti illustrati, che avevamo tra le mani ancor prima dell’asilo. Mamma Coniglia era materna e paterna, solida, coraggiosa, intraprendente, e moralista al 100%: portava i pantaloni, e sopra questi un bel grembiulone avvolgente, un fazzoletto a quadretti in testa, e aveva due occhi dolcissimi e terribili.
Una delle sue battute diventò un life motive della nostra famiglia: “Questi figli, non ascoltan mai consigli e poi cadono in disgrazie…”, così come tante altre rime che sapevamo a memoria a furia di farcele leggere dai grandi: “Mimmino è scontento, di cosa non sa, venuta gli è a noia la vita che fa. La casa il cancello il giardino le aiuole, son tutte davvero bellissime cose, ma sempre le stesse, diventan NOIOSE!”.
Sì, la rima: fattore essenziale per “mandare a memoria”, come si diceva allora, un testo o una storia. E difatti me ne ricordo dopo oltre sessant’anni, e gli insegnamenti che nascondevano mi sono rimasti ben impressi nella mente e nel cuore: come i disegni bellissimi, come le vicende fantasiose, come la morale che sempre spuntava fuori nel finale.
L’unico libro, ereditato da qualche cugina, che aborrivamo sia noi bambini che i nostri genitori, era Pierino Porcospino, di origine tedesca: ”I capelli sulla testa han formato una foresta, densa, sporca e puzzolente, e di lui dirà la gente: ma che schifo quel bambino, è Pierino Porcospino!”. Le illustrazioni erano crude e inquietanti, e le storie…mamma mia! La piccolina che giocava con i fiammiferi si riduceva in cenere; il bimbo che dondolava sulla sedia si bruciava con la minestra bollente; il ragazzino che teneva l’ombrello aperto nella bufera veniva preso dal vento e spariva nel cielo; eccetera eccetera eccetera. Da denuncia per terrorismo psicologico.
Diventata nonna, mi sono attrezzata di libretti e libroni, sperando di invogliare alla lettura i miei frugoletti: obiettivo centrato al cinquanta per cento, ma accontentiamoci.
E ho ritrovato, pensate un po’, tante storie di coniglietti; che sono diventati i protagonisti più gettonati dai miei nipoti almeno fino alla quinta elementare – anzi, vi consiglio di cercarli se avete bimbetti in casa-.
Ma invece di impersonare la saggezza e le regole, si sono trasformati in … tontoloni. Infatti la serie si intitola proprio così, “I coniglietti tontoloni”. Una famigliola felice, papà mamma e due figli, che indossano le mutande sopra i pantaloni, che vanno in spiaggia quando c’è il temporale, che preparano il pic nic versando la minestra nei sacchetti di carta, guardano i film rivolti alla macchina da presa e scambiano i gorilla per micetti. Uno spasso!
Che decadenza, direte voi. Ma io mi sono ricreduta, davanti alla passione sviscerata dei bambini per le loro storie. Forse perché l’ironia e l’assurdo riescono a trasmettere una leggerezza e una serenità di cui i nostri bimbi hanno oggi più bisogno che mai; forse perché di gente squinternata ormai è pieno il mondo, e chiunque può riconoscersi in questi coniglietti tontoloni; e forse soprattutto per l’inequivocabile messaggio di amore e perdono, racchiuso nella frase finale, quando il papà esclama: “Tesoro, che figli meravigliosamente tonti abbiamo!”.
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