Ormai è chiaro a cosa mirano Salvini e Di Maio: l’esasperazione dei rapporti con l’Ue, così da poter sfidare con successo alle elezioni per il prossimo Parlamento di Strasburgo (maggio 2019) quella che chiamano la vecchia/moribonda Europa. Vecchia/moribonda eguale ad arrogante, sopraffattrice, nemica della gente comune e schierata con i “poteri forti”. Il fronte populista andrà dalla coppia di governo italiana a ungheresi, austriaci, polacchi e conta su diserzioni dei conservatori dall’area simpatizzante del Ppe. Strategia semplice per Salvini, un po’ più complicata per Di Maio: il primo è già partner dell’iperdestra continentale, il secondo no. Non lo è neppure, tuttavia, della sinistra. Una decisione con chi schierarsi la dovrà prendere, ma non sarà certo contraria al patto che oggi tiene insieme a Roma M5S e Lega. Pur se Di Maio rischia di perdere il consenso di quei transfughi del Pd che il 4 marzo scorso han contribuito alla messe di suffragi grillina.
Al cospetto d’una tale risolutezza, i rivali dell’onda nazionalista/xenofoba come pensano di rispondere? Per ora (in Italia e fuori d’Italia) con il silenzio, salvo qualche eccezione. Tipo quella dell’ex ministro dello Sviluppo economico Calenda, sostenitore dell’idea di archiviare il Pd, creare un Fronte repubblicano, tenere insieme tutti gli antipopulisti in uno schieramento che si dispieghi da Tsipras a Macron. Nessuna voce autorevole ha risposto al suo richiamo: dinieghi di bandiera da alcuni Democratici, riserbo perplesso dalla sinistra-sinistra, elusione d’imbarazzanti domande dalla destra moderata.
Sì, perché esiste e resiste anche una destra moderata, da noi e non solo da noi.
Rimaniamo a casa nostra. Ci si domanda che intende fare Berlusconi, relegato da mesi ai margini del dibattito politico e invece destinato a essere nuovamente centrale, quando ci si recherà alle urne e nonostante i sondaggi indichino un costante calo di Forza Italia. Starà dalla parte di Salvini o starà dalla parte dei suoi avversari? E se Salvini avrà al fianco Di Maio, il Cavaliere si turerà il naso o darà la stura a una campagna fortemente critica verso la “malaintesa”? E in che modo crede di poter conciliare, davanti ai suoi elettori, eventuali accordi di partnership col Capitano nelle elezioni regionali ed eventuali disaccordi nelle elezioni europee?
Ancora titolare d’un pacchetto di voti perlomeno discreto, Berlusconi ancora non scioglie la riserva sui comportamenti prossimi venturi: o aderire alla squadra trasversale che si opporrà ai sovranisti o non aderirvi nella forma pur se nella sostanza. La prima scelta avrebbe il pregio della chiarezza, ciò che farebbe premio sul rischio di regalare consensi all’estremismo gialloverde. La seconda eviterebbe frizioni con Salvini, e però al prezzo di giocarsi il favore proprio dei moderati di cui il Cavaliere -dal ’94 a oggi- è spesso stato il più autorevole punto di riferimento.
Nel momento di una sfida epocale, l’idea di tenere il piede in due scarpe non sembra la migliore: un centrodestra che si presentasse unito in una scheda (regionale) e diviso in un’altra (europea) sottovaluterebbe l’impatto della sua credibilità sugl’italiani. Che talvolta sono distratti, ma non quando avvertono il pericolo d’essere distrutti.
You must be logged in to post a comment Login