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Libri

MAESTRINA FASCISTA

MANIGLIO BOTTI - 05/10/2018

pansaQualche mese fa, dando alle stampe il suo libro dedicato al capo partigiano Bisagno – Uccidete il comandante bianco – Un mistero della resistenza –, Giampaolo Pansa ormai in dirittura d’arrivo sul traguardo degli ottantatre anni, gravemente provato anche nelle disavventure della vita, come la scomparsa del figlio ancora giovane, diceva più o meno: non so se avrò la forza e la volontà di scrivere ancora…

Invece eccoci qua, a distanza di poco tempo, con tra le mani un suo nuovo saggio-romanzo edito da Rizzoli: La Repubblichina – Memorie di una ragazza fascista.

Giampaolo Pansa, che negli anni s’è costruito con la serietà e il lavoro un posticino tra i grandi del nostro giornalismo, e non solo, è un po’ come quel personaggio reso celebre da Charlie Chaplin nel film Luci della ribalta: Calvero, che cede alla fine – ancora innamorato della vita e di una donna – recitando sul palcoscenico, benché acciaccato e affaticato. Pansa scrive, racconta, spiega, dà giudizi sereni perché è questo il compito che s’è scelto nella vita. Non può farne a meno. E meno male che è così. Non abbiamo dunque che di ringraziarlo.

I temi di quest’ultimo – last but not least – suo saggio e romanzo, si diceva, sono gli stessi cui Pansa ci ha abituato. Il titolo è significativo. La Repubblichina è la storia della giovane Teresa Bianchi detta Tere, di Casale Monferrato (la stessa città di Giampaolo Pansa), insegnante elementare di prima nomina negli anni della tragica tranche di fascismo che videro il Duce ancora alleato dei nazisti e insediato in uno pseudo-dominio dell’Italia del Nord. La storia, dunque, si snoda tra ricordi e fatti – alcuni noti perché Pansa ce li ha già raccontati nei suoi precedenti libri e altri meno – della guerra civile.

Tere, classe 1924, vent’anni, appena raggiunto il diploma è ancora una fascista a tutto tondo, ma non si potrebbe dire che la politica sia lo scopo principale della sua esistenza. Perché ciò che conta, per lei, è solo la scuola. Eppure nel romanzo le vicende tragiche dell’ultimo biennio di guerra si assommano. E anche un’adesione formale diventa una colpa da espiare.

Teresa Bianchi, nella primavera del ’45, paga il suo credo repubblichino. Il romanzo comincia con la scena dello scempio della rapatura delle donne fasciste – quando va bene – che Giampaolo Pansa ambienta, a Casale, nella centralissima piazza del Cavallo, cioè la statua equestre di Carlo Alberto, di cui anche Tere è vittima. Mentre nella realtà – spiega lo scrittore – ebbe luogo da un’altra parte. Ma, in fondo, è un particolare secondario. E la storia di una vita parte, anzi riparte da qui. Da una vergogna inflitta, probabilmente in modo inutile, vergognoso e talvolta ingiusto. Con una novità narrativa, oggi, che vede Giampaolo Pansa raccontare in prima persona nelle vesti e nei pensieri femminili della giovane Tere.

Come in altri romanzi dello scrittore e giornalista casalese il sesso svolge una parte importante nella storia. Ma non si tratta di una trasgressione voluta a solleticare una presunta pruderie del lettore. Il sesso – e qualche volta l’amore – fa parte della vita, così come ne fanno parte le ideologie, le guerre, il lavoro… Ognuno, uomo o donna che sia, risolve i suoi problemi nel modo che crede migliore.

Alla fine Tere ritrova una sua strada. Il posto a scuola. Un marito, dei figli da tirar su in un’Italia forse con maggiori virtù o forse non ancora immune da vizi.

Difficile dire se ci sia, in questo bel libro, in questa storia che potrebbe anche essere vera, una ricerca di moralità. Anni fa Giampaolo Pansa, in un confronto giornalistico, alla domanda fattagli in che cosa credesse diede una risposta semplice e nello stesso tempo molto laica. Disse: credo, nonostante tutto, che sia ancora possibile arrivare a una giustizia tra gli uomini. Qui, su questa Terra.

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