Per giudicare lo scenario che si è aperto con i primi annunci sulla manovra del governo 5Stelle – Lega è forse opportuno partire dalla reale situazione dell’economia italiana e dalla sostanza dei problemi aperti nel Paese.
Innanzitutto è forse opportuno sottolineare che i dati di fondo sono solo in parte negativi, al di là della narrazione globalmente catastrofistica di una politica che appare perennemente in campagna elettorale.
C’è stata negli ultimi mesi una significativa ripresa dell’economia, ripresa che ha iniziato a rallentare prima dell’estate. Questa ripresa è stata trainata soprattutto dalle esportazioni, che sono cresciute lo scorso anno più di quanto siano cresciute per Germania e Francia, e in piccola parte anche dalla crescita dei consumi interni dopo anni di sostanziale stagnazione.
I tassi di interesse, almeno fino a maggio, sono rimasti bassi favorendo il credito verso le imprese e l’acquisto di abitazioni da parte delle famiglie con la stipulazione di muti particolarmente convenienti.
La disoccupazione ha mostrato segni di sostanziale riduzione soprattutto grazie ai contratti a tempo determinato resi possibili dalle nuove regole varate dal precedente governo.
In questo scenario non vanno comunque sottovalutati i problemi: la ripresa c’era, ma è nettamente inferiore a quella degli altri paesi europei; la disoccupazione resta particolarmente elevata, soprattutto sul fronte dei giovani; le disuguaglianze crescono soprattutto con un Mezzogiorno sempre più staccato dai risultati del Nord; nonostante le promesse di tutti i Governi il peso del fisco e della burocrazia continua a costituire un freno alle possibilità di sviluppo delle imprese e quindi della creazione dei posti di lavoro. A questi problemi va aggiunto un calo demografico sempre più rilevante e sempre meno compensato dall’immigrazione. Senza dimenticare che la disoccupazione non deriva dal fatto che gli “anziani” restano al lavoro più a lungo (il che peraltro non è vero perché l’Italia ha un’età reale di pensionamento di 63 anni in linea con il resto d’Europa), ma deriva almeno in parte dalla mancata coincidenza tra le esigenze delle imprese e le competenze acquisite dai giovani nella scuola.
La crescita economica più lenta che nel resto d’Europa deriva poi dalla scarsa innovazione, dal peso degli oneri burocratici e amministrativi, dal costo del lavoro più alto per effetto di tasse e contributi.
In questo scenario si cala la manovra economica promessa dal “governo del cambiamento”. Ebbene qualcuno ha intravisto misure per rilanciare la natalità, per migliorare il sistema educativo, per ridurre di fatto gli oneri sulle imprese?
Tutto lascia credere che il vero obiettivo della manovra sia quello di creare le condizioni per dare all’Europa (e in subordine ai mercati finanziari) tutte le colpe delle difficoltà. Servirà a vincere le elezioni. Perché il popolo dimentica facilmente che proprio al processo europeo, all’apertura dei mercati, alla stabilità dei cambi ottenuta con l’euro, l’Italia deve gran parte della propria attuale ricchezza. Se si distruggono le basi di un paese che continua ad essere la seconda potenza industriale d’Europa ci si comporta come i milanesi del Seicento che, come descritto nei Promessi sposi, distruggevano i forni per protestare contro la carenza di pane. Aggravando i problemi invece che risolverli. Ma queste – annotava amaramente il Manzoni – “sono sottigliezze metafisiche che una moltitudine non ci arriva”.
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