C’è un intellettuale emiliano che correttamente interpreta la scuola anche come osservatorio sociale e non solo come riferimento per una vita migliore nella quale la cultura, fatta di conoscenze e riflessioni, abbia un ruolo di primo piano.
Di questo suo sentire, delle problematiche sulle quali la società non più oggi si sofferma a meditare, il nostro prof ogni tanto lancia dei messaggi destinati a essere testimonianza di un presente che il nostro vivere di corsa rapidamente trasforma in passato. Un passato che la comunità modella, spesso non con la dovuta cautela, lanciandosi nel turbine dell’approfondimento, dello studio.
Il vivere di corsa alla fine è scarsamente produttivo perché non ha radici solide in epoche, più o meno recenti, che in qualche misura di saggezza ne possono ancora distribuire.
Il dilagare della comunicazione odierna priva di tempo per la riflessione oggi è capace di presentare più facce della stessa realtà ma senza rassicuranti indicazioni.
Il nostro simpatico filosofo della vita, analizza, dà indicazioni, non si rassegna, spera e vuole che di come egli interpreta la vita ci sia la possibilità di una futura e anche occasionale lettura per il tramite di uno dei primi mezzi di comunicazione globale ritenuti efficaci dall’uomo: i messaggi in bottiglia.
Un tempo affidati a oceani e fiumi in situazioni e luoghi estremi dove l’acqua con la sua instabilità, con un suo moto lentissimo pur sempre si presentava come possibilità di un futuro a chi riteneva di non averne più.
I messaggi in bottiglia odierni possono essere un curioso sistema di verifica, ma nel tempo, di valutazioni, appelli, sondaggi, notizie relativi alla vita di una comunità,.
I messaggi come una segnalazione aldilà dei canali ufficiali relative a realtà non considerate degne degli archivi.
Può sembrare oggi un gioco quello dei messaggi in bottiglia, in realtà è la possibilità di essere ancora individui e non numeri in grado di pungere e magari offrire chiavi di lettura idonee a controbattere la massificazione, preda e orgoglio del web.
Proviamo a calarci nei panni di chi vuole sperimentare, non per sfizio personale, ma come utile servizio collettivo il lancio di una bottiglia. In una comunità come la nostra, più ricca di passato di quanto si creda, ma più incline alla conquista dell’oggi, del futuro. Molto allora ci sarebbe da lanciare con una bottiglia nella speranza che, chissà quando, il messaggio, rinvenuto occasionalmente come vuole la storia di questi ritrovamenti diventi stimolo per esempio per un recupero importante.
Anche io la mia bottiglia la lancerò sperando che qualcuno la trovi e renda noto l’appello. Già, perché sono ormai trascorsi tre anni dalla scomparsa di Gaspare Morgione e sono tre anni di silenzio istituzionale per un umorista, uno scrittore, una montagna di amore per i più deboli, una valanga del sorriso, un innovatore nel mondo nazionale dell’editoria. Un grande che ha amato la e onorato la nostra città.
Noi operai del giornalismo – tali siamo considerati perché periferici, di provincia – nella tranquilla Varese abbiamo avuto un leader silenzioso che ha avuto il merito di far crescere città e territorio con le sue coinvolgenti vignette, con battute al fulmicotone, con osservazioni brevi che valevano più di un “fondo” in prima pagina.
Oggi le desolanti liti nella nuova maggioranza comunale, la monotonia dell’incapacità della nuova opposizione sarebbero state un divertente bersaglio per Gaspare, amato e rispettato da tutti per la sua autorevolezza culturale, per la sua capacità di avviare con il sorriso la soluzione di problemi anche delicati.
Non averlo più è una sofferenza per chi lo ha stimato.
Ma al momento è anche una fatica o un fastidio in meno per le istituzioni, in particolare quelle che dovrebbero far crescere, il culto della memoria di una comunità e del suo territorio.
Rendere oggi di nuovo presente tra noi Morgione sarebbe pure una gran bella medicina. Il miglior farmaco antidepressivo.
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