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Politica

OPPOSIZIONE DURA

MANIGLIO BOTTI - 28/09/2018

sloganQuesto governo gialloverde, nonostante tutto, va avanti imperterrito, e v’è la concreta possibilità che durerà fino al termine della legislatura, cioè fino al 2023, perché è senza opposizione: fragilissima, pressoché inesistente quella in parlamento. Ambigui i forzitalioti e già desiderosi, anche se un po’ relegati, di intrecciare di nuovo interessanti affari; smarriti e confusi i piddini;  incerti, sconfortati tutti gli altri di sinistra. E così pure i “vecchi” moderati di antica tradizione liberale.  Ma incredibilmente,  assente è o sarebbe l’opposizione al nuovo regime anche nella vita del Paese.

È il mantra che, da più di tre mesi ormai, si legge sui giornali, si sente ripetere sui social e anche nei vari Bar Commercio della Penisola, tra uno spritz e l’altro, dato che sono ormai i Bar Commercio e i Bar Sport le novelle cellule della  democrazia, in Italia, la massima espressione logistica della “sovranità popolare”.

Checché se ne dica, la situazione è questa. Della crescita elettorale dei partiti di governo (nella specie della Lega) parlano i sondaggi. È successo un po’ anche da noi quanto accaduto negli Usa, e continua a accadere, dicono. Se Donald Trump tutte le mattine si affacciasse alla Casa Bianca facendo il gesto dell’ombrello, non perderebbe un voto. Merito (o guai) del populismo.

Ma è vero che l’opposizione non esiste? L’interrogativo, mai come in questo caso, è necessario e la risposta è unica. Che fare di più per convincere chi non è d’accordo se, come dice il proverbio,  non v’è peggior sordo di chi non vuol sentire?

Quindi non è il caso di affermare se l’opposizione esiste o no, perché le cose oggi vanno come vanno. L’opposizione c’è, eccome se c’è. Pure all’interno della stessa maggioranza di governo, visto che fuori di essa fatica a manifestarsi. Le possibilità di ragionamento si sono esaurite, la memoria è andata in soffitta, e con lei sono introvabili la cultura – anche quella miserella da liceali –, lo studio, ogni cosa che in qualche modo possa assomigliare. È il governo del pressappoco, di un “cambiamento” purchessia, e il gattopardesco motto – tutto deve cambiare perché tutto resti come prima – è tuttora pieno di significati.

Chi vorrebbe ricordare l’antico slogan di “Roma Ladrona” da parte del segretario del partito e ministro, specie dinanzi a certi episodi per i quali coloro che ne furono protagonisti arrossiscono come verginelle, viene tacciato, irriso, talvolta anche minacciato.  Figurarsi se per caso a qualcuno viene in mente di ricordare e di intravedere il fascismo nel regime in vigore.  Non il fascismo storico conclusosi (forse) a piazzale Loreto, ma il fascismo del metodo e delle “idee” certo che sì.

Basta fare una prova e andare a spulciare (Internet fornisce questa possibilità) nella voce “Slogan fascisti”. Ne citiamo alcuni a caso, rammentando che all’epoca non esistevano né Facebook né Twitter né esistevano ciurme di esperti informatici di social e spin doctor, pronte a elaborare espressioni e massime convincenti, eppure:  Abbiamo dei vecchi e dei nuovi conti da regolare; li regoleremo (il nuovo  che avanza); Agli atti di guerra risponderemo con atti di guerra (la sicurezza…); Andremo contro chiunque, di qualunque colore, tentasse di traversarci la strada (l’ostinazione nell’agire, specie nei confronti di chi è di… colore diverso); Badate che l’Italia non fa più una politica di rinunce o di viltà, costi quello che costi (le avversità alle austerity europee); Fermarsi significa retrocedere (dare sempre corso alle promesse elettorali, pena il crollo nei sondaggi): Non c’è assedio che possa piegarci (i porti chiusi).

Dunque, ce n’è per tutti i gusti e sembra, leggendo i giornali, che certi slogan non siano stati coniati novanta o ottant’anni fa, ma l’altro ieri. Non siamo ancora al “Matteo (o Beppe Grillo) ha sempre ragione”, ma ci si sta arrivando piano piano. E il “Prima gli italiani” fa anche un po’ venire in mente il famosissimo “I biscotti italiani sono migliori di quelli inglesi” che pare avesse coniato il giornalista di regime Mario Appelius, il quale per altro non risulta che fosse stipendiato – com’è oggi per alcuni suoi pari grado – con cifre superiori a quelle percepite dal presidente del Consiglio (Ma forse c’è riferimento al lavoro che, effettivamente, il presidente del consiglio in carica effettivamente svolge).

Altroché i tempi indietro. C’è una cosa, tuttavia, negli slogan: spesso essi contengono  anche gli antidoti che presto potrebbero venire somministrati nei Bar Commercio e nei Bar Sport:  “Il popolo italiano ascolta le parole  ma giudica dai fatti”.

I prossimi bilanci dello Stato e un’occhiatina ai propri portafogli e ai propri risparmi potrebbero fornirne l’occasione. E magari anche un po’ di sana opposizione.

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