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Politica

NUOVA BUSSOLA

GIUSEPPE ADAMOLI - 28/09/2018

bussolaI numeri elettorali dei partiti socialdemocratici dell’Unione Europea (Francia, Spagna, Germania, ma non solo), mettono in evidenza una profonda crisi.

Questi partiti crescono nel dopoguerra con il principale scopo di redistribuire le risorse e di applicare nuove forme di welfare a vantaggio delle classi più deboli. Va bene fino a tutti gli anni Novanta quando il progresso economico aumenta la torta che si sarebbe poi ripartita.

Non è il liberismo economico di gran parte della Destra con la deificazione del mercato. È fiducia nello sviluppo dell’economia libera e nelle forze del lavoro che dopo il fordismo continuano a produrre ricchezza che il progressismo politico contribuisce a suddividere decentemente, anche se non equamente.

Con la grande crisi finanziaria del 2008 negli Stati Uniti va in crisi questo modello mettendo gli Stati davanti a nuovi giganteschi problemi di protezione degli svantaggiati. I progressisti subiscono dei duri colpi in credibilità popolare, tentano le ripartenze ma lo schema di gioco è cambiato con la finanza globale che conta sempre di più.

In Italia la situazione non è diversa, salvo che gran parte della sinistra abbraccia tardi la concezione socialdemocratica e il Pd nasce solo nel 2008. Nel 2013 Bersani manca il gol a porta vuota, così avremmo detto tutti. Oppure la porta si è già molto ristretta senza essersene resi conto? Quel deludente risultato del Pd non è già il frutto di una concezione sociale ed economica in difficoltà?

A ben guardare il clamoroso risultato del 41% di Renzi del 2014 non è tanto, o soltanto, l’esito degli 80 euro o della “rottamazione” (più proclamata che realizzata) ma la sensazione che il suo protagonismo senza troppi legami con il passato avrebbe potuto rappresentare la svolta di quel vecchio progressismo con uno scossone anche al socialismo democratico europeo.

La storia recente è chiara. L’europeismo di Renzi con i pugni sul tavolo a Bruxelles non è creduto e non produce molti effetti; la riforma costituzionale abortisce anche se all’inizio aveva raccolto nei sondaggi più del 60% dei consensi; il racconto ottimistico stride con le paure diffuse; la svolta di Minniti sugli immigrati arriva troppo tardi e gli errori di conduzione del partito con troppo “bullismo” fanno dimenticare anche i buoni risultati governativi.

Non è vero che oggi ci siano solo macerie ma la ricostruzione non può essere soltanto organizzativa e statutaria. Bisogna porsi la domanda delle domande: come si traducono in pratica gli ideali e i valori della sinistra democratica di governo nella società odierna? La bussola, c’è bisogno di una nuova bussola.

Serpeggia in Italia una voglia di comprensibile protezione sociale ma la strada giusta non è il nichilismo industriale, la nostalgia del passato assistenzialista, dello Stato che si riappropria di funzioni abbandonate negli ultimi due decenni, del cordone ombelicale fra centralismo statalista e Mezzogiorno.

La formula “torniamo a sinistra” appare troppo spesso solo uno slogan. Non tanto perché in Italia a sinistra c’è il deserto, tipicamente disseminato di buone intenzioni. Ma perché si rischia di buttare via una prospettiva di sinistra liberaldemocratica che ha bisogno di forti correzioni ma non di rottamazione.

Una sinistra liberal democratica con un robusto pragmatismo ma con una altrettanto forte anima ideale. Al centro, sempre, il lavoro come antitesi dell’assistenzialismo statale e per il recupero della dignità umana.

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