A luglio vi avevamo invitato a partire, a mettervi in viaggio per cercare la profondità della vita, per incontrare … vi avevamo accennato al nostro pellegrinaggio con tre sparuti e gioiosi giovani nel ritmo della nostra vita monastica tra orto, silenzio, musica, parole e Parola, amicizia e domande ed ora vi raccontiamo di una scoperta, di un orizzonte che ci si è aperto innanzi vivo e vitale … ce lo hanno mostrato i nostri tre giovani con l’immediatezza dello stupore e la semplicità della gratitudine e ci hanno così contagiato stupore e gratitudine.
Sì, perché c’è stato un incontro autentico in cui abbiamo scoperto di essere gli uni dono per gli altri e che è ricchezza quanto scopriamo ed accogliamo nella vita, è ricchezza se condiviso. Sono ricchezza le intuizioni e le domande, il tempo che scorre colmo e calmo e gli slanci della giovinezza, la strada fatta e le mete cercate, le preoccupazioni che velano il domani e la speranza che lo costruisce. Sono ricchezze l’uno e l’altro, ma non l’uno se non per l’altro.
Il modo di questa ricchezza ci è stata consegnata nel verbo custodire: noi avremmo “custodito” loro con l’accoglienza nella nostra quotidianità e nel nostro ascolto, loro hanno scoperto in noi una ricchezza che tante volte ci sfugge, l’hanno custodita in loro, ce l’hanno resa con la freschezza e la forza della loro giovinezza.
E queste righe sono, certo, per ringraziarli, ma, soprattutto per ricordare a tutti noi, ormai adulti, il forse trascurato esercizio di ospitare i giovani, ospitarli come nel proprio “monastero”: nel proprio cuore, nella propria vita ed in una quotidianità che si apre all’ascolto e alla condivisione. Nella parola “monastero” risuona il richiamo all’ “uno”, alla solitudine; all’unicità; all’unitarietà. Crediamo che quel luogo dove siamo soli con noi stessi, il santuario della nostra coscienza, possa scoprire la propria preziosità in un confronto umile e sincero, antidoto ad ogni narcisismo e misura concreta del contatto con la realtà di ieri, di oggi e di domani: cosa resta? Cosa custodisce il futuro?
Crediamo che tutto ciò che caratterizza ciascuno di noi – la nostra storia, gli affetti, i pensieri, le fragilità e i punti di forza, le paure e le speranze, tutto ciò con cui descriveremmo la nostra vita e solo quella – anche questo trova il suo valore in una trama di relazioni aperte al domani, nella possibilità di offrirsi come testimoni di una scoperta, di un bene accolto e custodito. E se anche questo bene proprio non ci apparisse, possiamo attenderlo con chi ci raggiunge e vuole guardare con fiducia al domani (il loro sguardo può stupirci!).
Crediamo che aprendoci agli altri e al futuro dopo di noi – superando la logica dell’individualismo – impareremo ad amarci in verità (non si può infatti amare Dio e il prossimo senza amare se stessi) perché i giovani sanno testimoniare tutto il loro (e nostro) bene ad adulti in cammino con loro; ci verrà in qualche modo restituita la nostra esperienza, la nostra storia attraverso la loro e, forse, potremo offrire la profondità del tempo e dell’esperienza alla cultura dell’istantaneo “mi piaci”. Così i diversi si scopriranno formare una comunità che insieme cammina, soffre, spera, ama.
Allora preghiamo che il prossimo sinodo su Giovani, fede e discernimento vocazionale aiuti a “ricondurre i cuori dei padri verso i figli” (cfr. Vangelo di Luca 1, 17) perché gli adulti sappiano nuovamente essere padri e madri di una generazione che sorprendentemente cerca interlocutori autentici e domanda spazi (e cuori) in cui la loro (a volte) inquieta ricerca possa essere custodita. Scopriremo così che è bello camminare insieme con fiducia verso il domani.
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