Quando Giovanni Paolo II visitò nel 1979 l’Irlanda un milione e trecentomila persone (quasi un quarto della popolazione) si strinse intorno al Pontefice. Trentanove anni dopo nello stesso posto per la messa conclusiva della visita di papa Francesco ci sono 300mila fedeli.
Le televisioni impietose continuano a mandare in onda in parallelo le immagini delle due messe domandandosi: dov’è finito il milione di persone che manca all’appello?
Cartoline dall’Irlanda post-cattolica. Lungo gli argini del fiume Liffey o davanti ai ‘docks’ rimodernati si affollano il sabato sera gli stessi giovani che solo tre mesi fa hanno votato a schiacciante maggioranza (66,4 per cento) l’introduzione dell’aborto nel paese. I soldi girano a palate: molte banche e multinazionali che avevano sede a Londra si sono trasferite a Dublino temendo gli effetti della Brexit. Moderni e avveniristici edifici come il Beckett Bridge si stagliano sullo sky line della città.
Lo scandalo pedofilia poi, a cui Papa Francesco ha dedicato la maggior parte delle sue parole e dei suoi gesti durante la visita, ha dato il colpo di grazia al processo di secolarizzazione in atto. I seminari sono vuoti, la credibilità del clero fortemente incrinata e la maggior parte degli irlandesi ha misurato la visita del Papa sulla base di quanto avrebbe detto o fatto per condannare e chiedere perdono.
“Una infanzia infelice irlandese è peggio di una infanzia infelice qualunque, ma una infanzia infelice irlandese e cattolica è peggio ancora”. Le parole di Frank Mc Court in “Le Ceneri di Angela” sembrano diventate l’epitaffio più calzante per una Irlanda 4.0
Da dove ricominciare? Le Chiese, anche durante le funzioni feriali, sono frequentate. La maggior parte degli istituti fanno ancora riferimento alla cultura cattolica ma, come nell’ Italia degli anni Cinquanta aveva profeticamente colto don Giussani, l’appartenenza alla fede rimane a livello formale. Non tocca l’esperienza umana che per rispondere ai propri bisogni cerca altrove i punti di riferimento.
All’interno del colorato e multietnico ‘World Meeting of Family’ (che era per altro il motivo ufficiale della visita di Papa Francesco in Irlanda) incontro un gruppo di italiani che da anni vive e lavora nell’isola. C’è chi ha fondato una scuola, chi è dovuto venire al seguito di una multinazionale, chi ha avviato una attività di ristorazione. Insieme hanno dato vita ad una mostra sul significato della famiglia. Un percorso esistenziale che, anziché dare per scontato i valori cristiani per arrivare alla vita quotidiana, ha operato a livello contrario. Partendo dalle domande ultime che riguardano ogni uomo (il senso della vita e della morte, del dolore e del fare i figli, dell’andare a lavorare e del cercare giustizia e democrazia) dimostra la convenienza del fatto cristiano.
Racconta Mauro: “La gente è stanca di contrapposizioni. Anche quella tra credenti e no. Per esempio un famoso personaggio dei media irlandesi, Berndan O’ Connor, attore, comico, editorialista, recentemente si domandava: La gente ha abbandonato la Chiesa per vari motivi. Perché non condivideva il suo atteggiamento verso le donne o l’aborto. Per gli abusi e la crudeltà delle case per madri single. Alcuni l’hanno abbandonata perché era noiosa e non parlava più’ direttamente a loro. Altri perché la considerano ipocrita. L’abbiamo rimpiazzata con una quantità di cose; la palestra, il successo e il fai da te, l’autocoscienza e la meditazione ma talvolta, magari a Natale… Ti chiedi se non manca qualcosa e ti domandi cosa abbiamo perso quando abbiamo rifiutato il cuore della religione”.
Papa Francesco agli irlandesi ha proposto il modello di San Colombano e dei monaci del ‘600 che evangelizzarono mezza Europa. Erano uomini e donne che non avevano paura della fatica e della sofferenza. In loro l’amore per Cristo era sufficiente per sfidare un mondo ostile. Si può vivere così?
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