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Ambiente

MALPENSA È VARESE

ARTURO BORTOLUZZI - 14/09/2018

L’aeroporto di Malpensa nel territorio (da Google Earth)

L’aeroporto di Malpensa nel territorio (da Google Earth)

L’aeroporto di Malpensa ha bisogno di essere inserito finalmente in un piano territoriale che lo possa rendere un effettivo motore di sviluppo del territorio. Durante questa estate molti dei responsabili dei comuni del Cuv (Consorzio urbanistico volontario che riunisce i comuni di Arsago Seprio, Cardano al Campo, Casorate Sempione, Ferno, Golasecca, Lonate Pozzolo, Samarate, Somma Lombardo e Vizzola Ticino) si sono pronunciati favorevolmente riguardo la necessità di effettuare proprio un piano d’area di Malpensa. Il professor Chierichetti del Politecnico di Milano ha ricordato a mezzo stampa che i soggetti di un Piano d’area non debbano essere solo i comuni interessati, ma anche i cittadini singoli o associati che si trovino a vivere all’interno dello stesso.

Ritengo grave che i sindaci del Cuv non abbiano considerato le novità legislative e, soprattutto, l’attuale tendenza normativa della UE, volta a far partecipare i cittadini alle decisioni istituzionali.

Io sono, guardando anche le novità legislative, perché si possa sperimentare, più che un piano d’area di Malpensa, il nuovo strumento del dibattito pubblico.

È stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale serie generale n. 145 del 25 giugno 2018 il decreto del presidente del Consiglio dei ministri n. 76/2018 recante “modalità di svolgimento, tipologie e soglie dimensionali delle opere sottoposte a dibattito pubblico”, adottato ai sensi dell’art. 22, comma 2, d.lgs. n. 50/2016).

Questo, potrebbe prefigurare alcune delle soluzioni più innovative e necessarie a valorizzare completamente l’area di Malpensa, ora troppo inquinata e pressoché dimenticata nel suo insieme.

Che cosa andrebbe fatto ora che si vede una crescente presenza di persone in aeroporto? Quello che fino ad adesso si è tralasciato di fare: discutere, investigare, non solo da parte di chi ha compiti istituzionali ma, soprattutto, dalla popolazione residente attorno a Malpensa.

Da anni vengono approvate piccole decisioni che ci porteranno non a discutere di un progetto, ma a dover accettare come un fatto compiuto (restando inermi), l’aeroporto.

L’Associazione che rappresento è pronta a confrontarsi in tema con tutti i soggetti che hanno voce in capitolo. I Comuni, intanto, avrebbero l’opportunità di cominciare a sondare il pensiero dei cittadini riguardo queste tre domande: 1) Il traffico aereo attualmente esistente in Lombardia potrebbe essere equamente diviso tra tutti gli aeroporti esistenti in Regione, la gran parte dei quali è connesso con l’alta velocità ferroviaria? 2) Fino a che punto gli abitanti del varesotto sono disposti ad accettare che il loro territorio venga compromesso da un aeroporto collocato nella sua area ma chiamato “aeroporto di Milano”? 3) Come la Provincia può utilizzare l’aeroporto di Malpensa quale risorsa per svilupparsi, per ampliare le sue industrie e per dare benefici alla qualità di vita dei varesini?

A noi sembra proprio che tutti gli enti pubblici competenti abbiano fatto finta di niente per non porsi e anche per non rispondere a queste intuitive domande. Non pensiamo che il corpo sociale voglia vedere il tramonto della bellezza del territorio e riteniamo che di ciò la politica, sia locale che regionale, debba tenerne conto. Anzi la politica, specie se regionale, deve sperimentare la possibilità di organizzare attorno a Malpensa un vero e proprio sistema per la distribuzione dei soldi necessari a valorizzare il territorio e a migliorare la vita di coloro che lo abitano.

Il terzo settore (facciamo il nostro esempio) è bellamente ignorato dai sindaci del Cuv e dallo stesso direttore di Malpensa. Abbiamo, infatti, numerose lettere inviate a costoro che non hanno avuto la minima risposta.

Abbiamo scritto sopra, che tutti gli intervistati dicono la stessa cosa: facciamo il piano di area di Malpensa. Attraverso una nota mandata ai Comuni del Cuv, al Presidente dell’aeroporto di Malpensa e al Presidente della Regione Lombardia, abbiamo invitato tutti costoro a trovarci insieme e con tutti i soggetti che hanno interesse ad uno sviluppo sostenibile dell’aeroporto. Cogliamo la necessità di studiare tutti gli impatti dell’aeroporto. Occorre, insomma, che tutti assieme si decida come pianificare e decidere il da farsi.

Fino ad ora si è fatto passare l’aeroporto di Malpensa quasi fosse una entità privata che doveva solo perseguire il maggior utile possibile presentando sempre un florido bilancio.

Non è con un soggetto con tali caratteristiche che noi desideriamo dialogare. Facciamo presente che in Sea (che gestisce l’aeroporto) la maggioranza spetta a soggetti pubblici. Questi hanno e debbono avere il primario scopo di difendere gli interessi degli abitanti del territorio. Questo noi ci attendiamo da Sea e allora si potrebbe pianificare assieme.

 Riteniamo che non si debba trascurare la necessità che si affronti questo importante tema attraverso il Dibattito pubblico introdotto in Italia da una nuova legge.

Abbiamo già scritto prima dell’estate al Presidente della Regione Lombardia (finora invano) chiedendogli proprio di essere promotore di una iniziativa volta a chiamare tutti i soggetti interessati. Riproponiamo l’invito al Presidente della Regione Lombardia e all’attuale Presidente del Cuv. Ad un simile istituto è importante a rapportarsi essendo pressoché incalcolabili gli interventi che possono essere conseguenti ad una tale decisione.

I l dibattito pubblico (di seguito chiamato Dp) è uno strumento che facilita il dialogo tra i soggetti coinvolti nella realizzazione di un’opera, in modo da affrontare gli eventuali problemi tenendo conto di tutte le posizioni in campo. L’esperienza degli ultimi tempi insegna che molte persone sono interessate a contribuire perché l’opera si realizzi nel modo migliore, e diventano oppositori solamente se non sono ascoltati. In tal senso, il Dp può migliorare le scelte progettuali, anche sfruttando il patrimonio di “conoscenza informale” di chi vive nei luoghi attraversati, o comunque interessati, dalle nuove opere che, spesso ignorato dalle società di progettazione, può essere invece di fondamentale importanza, soprattutto per l’inserimento dell’infrastruttura nel territorio.

È bene chiarire che il DP non è uno strumento decisionale: le persone e gli enti che partecipano al dibattito hanno il diritto di essere ascoltati e di esprimere opinioni, anche contrarie ma non hanno il compito, né il diritto di decidere se fare o meno l’opera o come realizzarla. La decisione spetta all’amministrazione proponente che, in coerenza con i Piani e Programmi redatti a partire da un’attenta analisi dei fabbisogni, valuta le alternative disponibili e sceglie quella più sostenibile e convenienti sotto i profili tecnico-economico, ambientale, politico e amministrativo.

Il Dp è uno strumento di trasparenza e di partecipazione: a tal fine occorre garantire, nel corso del Dp, l’accesso agli studi e alle valutazioni che sono alla base delle decisioni. Infine, il Dp serve a fare emergere tutti i contributi positivi, le critiche e serve ad identificare i potenziali conflitti intorno alla realizzazione di un’opera (conflict assessment), contribuendo anche ad affinare la valutazione del rischio realizzativo (inteso in senso lato, in modo da ricomprendere anche quello localizzativo di tipo Nimby – Not in my backyard –, non a casa mia).

In quanto strumento di democrazia partecipata, permetterà alle istituzioni di ricucire lo strappo che altrimenti si creerebbe tra chi dirige (rappresentanti delle istituzioni, politici ma anche tecnici e addetti ai lavori) e chi subisce le conseguenze delle decisioni. Certo, il Dp non sarà la panacea per i costi sociali che scaturiscono dai conflitti intorno alle grandi opere: è molto improbabile raggiungere un consenso unanime; tuttavia, il Dp può anticipare le criticità, dare modo al soggetto proponente di prendere decisioni più consapevoli e trovare per tempo soluzioni progettuali adeguate, senza ricorrere a varianti in corso d’opera o ad interruzioni dei lavori, generando in questo modo una maggiore speditezza esecutiva a prezzo di un temporaneo allungamento dei tempi nelle fasi iniziali del ciclo dell’opera.

Perché ciò sia possibile è necessario che il Dp venga aperto quando sono ancora disponibili alternative su aspetti realizzativi non marginali (ad esempio le scelte localizzative) e la decisione di realizzare l’opera non sia ancora stata presa in modo definitivo.

A tal fine, il nuovo Codice degli appalti prevede che il Dp si inserisca nella prima fase del progetto di fattibilità di un’opera, quella in cui si analizzano le alternative progettuali al fine di individuare la soluzione ottimale, come scritto nel documento 1 Art.22, c.1: “Le amministrazioni aggiudicatrici e gli enti aggiudicatori pubblicano, nel proprio profilo del committente, i progetti di fattibilità relativi alle grandi opere infrastrutturali e di architettura di rilevanza sociale, aventi impatto se non sull’ambiente, sulle città e sull’assetto del territorio, nonché́ gli esiti della consultazione pubblica, comprensivi dei resoconti degli incontri e dei dibattiti con i portatori di interesse. I contributi e i resoconti sono pubblicati, con pari evidenza, unitamente ai documenti predisposti dall’amministrazione e relativi agli stessi lavori”. I risultati del Dp concorrono a guidare l’elaborazione della seconda fase del progetto di fattibilità.

Ci troviamo davanti a una vera e propria innovazione a livello nazionale che vede i cittadini (non solo) chiamati alla consultazione. Costoro sono anche e soprattutto chiamati a una partecipazione attiva al processo di produzione delle decisioni impattanti sul territorio. Il Decreto legge che istituisce il Dibattito pubblico non nasce dal nulla solo per assecondare una richiesta della cittadinanza, ma ha avuto significativi esperimenti in passato sui quali rapportarsi. Un primo tentativo di inclusione di questo tipo è stato concepito a livello regionale, da Regione Toscana, che con la legge n. 46/2013 ha disciplinato in 32 articoli i temi del dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione all’elaborazione delle politiche regionali e locali. Riprendendo una precedente norma del 2007, la legge ha esplicitato l’intenzione di rendere prioritari gli effetti dell’allargamento dell’inclusione all’interno dei processi decisionali, moltiplicatori degli effetti positivi di governance territoriale.

Certamente una forma di dibattito pubblico per la eterogeneità dei partecipanti è stata utilizzata per approvare la cosiddetta “Gronda di Genova”. La best practice motrice, però, viene dalla Francia, e nello specifico dalla legge n. 95-101 del 2 febbraio 1995 – cosiddetta Loi Barnier, Ministro dell’Ambiente in carica in quegli anni.

La legge pioneristica francese è stata la prima ad ammettere che, per grandi progetti infrastrutturali, dovesse essere previsto dibattito pubblico obbligatorio. Un’importante novità che riguarda la Commissione è data dal recentissimo Decreto n. 2017-626, 25/04, che ne modifica e amplia le competenze. Fino al 25 aprile, infatti, i dibattiti pubblici potevano avere ad oggetto iniziative già in fase di progettazione. Adesso anche i piani strutturali a livello nazionale e territoriale sono soggetti a dibattito pubblico.

Dalla messa in discussione delle modalità di implementazione territoriale delle politiche ambientali, adesso si passa alla messa in discussione dell’intera politica di aménagement des territoires. È chiaro, che più si va verso il vertice, più è difficile mobilitare l’iniziativa dal basso (notoriamente l’idea di partecipazione è più forte nelle realtà più piccole). Ma da un punto di vista metodologico, questa novità è sicuramente degna di nota.

Come avvisa Antonio Florindia (Regione Toscana), parlando dell’esperienza regionale, “il dibattito pubblico non è da confondere con l’esercizio della democrazia partecipata, poiché non è un esercizio democratico della volontà dei cittadini, ma è una fase propedeutica alla definizione e configurazione di un’opera pubblica in cui si acquisiscono tutte le informazioni tecniche da parte degli esperti e le informazioni del contesto, frutto degli interessi e delle conoscenze di stakeholder e cittadini su cui impatta direttamente l’opera in questione. Il dibattito pubblico è il momento propedeutico alla decisione istituzionale che di quel dibattito deve tener conto, e per funzionare deve essere un processo affidabile che non deve consentire accordi al di fuori dei momenti di confronto pubblico, che deve garantire un confronto leale e trasparente fra i soggetti coinvolti”.

Amici della Terra Varese attende pertanto una pronta risposta della Regione Lombardia e dai Sindaci de Comuni che aderiscono al Cuv.

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