La politica, come tutti sappiamo bene, è profondamente cambiata negli ultimi decenni. È cambiata ancora di più la comunicazione politica. Oggi è premiata l’istantaneità del messaggio, il che va bene se espressione ultra sintetica di un pensiero profondo e strutturato, ma lo è?
Secondo molti politologi non lo è affatto. Oggi conterebbe solo un affannoso pragmatismo – comunicato con efficacia – senza molti riferimenti ideali. Il caso Trump sarebbe essenziale per capire la mutazione avvenuta e per sostenere questa tesi vengono scomodate varie teorie.
Sarà, ma non mi convince del tutto. In realtà Trump ha un preciso quadro di riferimento ideologico. No all’immigrazione con i muri lungo i confini con il Messico, la guerra dei dazi, America First, non sono improvvisazioni. Non è affatto rétrò chiamarla politica di destra in barba ai teorici del superamento di destra e sinistra. Che si coniugano in modo diverso dal passato ma non per questo hanno cessato di esistere.
Anche in Europa e in Italia le tendenze simili sono diffuse e hanno fortuna elettorale. I tweet e le dirette facebook di Salvini sono dentro una logica e una cultura politica ben riconoscibili. Non penso che il suo messaggio propagandistico distorca molto il suo pensiero. L’alleanza con Le Pen, Orban, i Paesi dell’Est Europa e con le destre europee in emersione lo dimostrano e lui non lo nasconde per nulla.
Salvini rivendica alla sua idea politica la vicenda della nave Diciotti, la caccia all’immigrato, la polemica con la magistratura, il sovranismo, la misura del consenso come assoluta legittimazione del proprio operato. Un quadro culturale chiarissimo che è sbagliato e insufficiente chiamare “populismo” e che è stato storicamente ben presente nelle pulsioni di destra della società italiana in varie epoche.
Restando al governo italiano la differenza la fanno forse i Cinquestelle dei quali è difficile dire se abbiano una cultura politica e quale. Gli slogan “onestà, onestà” e “Uno vale uno” appaiono vuoti, pubblicitari e sono semmai frutto delle intuizioni comunicative di qualcuno come Grillo. La dichiarata disponibilità per un governo con il Pd oppure con Salvini; il dire una cosa oggi e il contrario domani (vaccini, ILVA ed altro), appaiono con crescente chiarezza la punta di un iceberg di una costruzione politica innovativa sul piano del rapporto con l’elettorato ma senza una direzione di marcia che non fosse il “tutti a casa”.
Quelli che contrastano entrambe queste posizioni in nome di idealità che si richiamino al pensiero cattolico-democratico o al pensiero socialista hanno il dovere di non limitarsi a controbattere colpo su colpo alle loro spericolatezze verbali ma di produrre, sperimentare, comunicare quadri di riferimento diversi e alternativi che però, questo il punto, abbiano il fine del governo dell’Italia perché le chiacchiere sono inutili e perfino dannose.
A volte pare che il giusto superamento di vecchie ideologie così forti fino a trent’anni fa abbia prodotto un’alta ritrosia a ri-elaborare una solida cultura politica diversa da quella oggi prevalente. Si ha forse paura di essere giudicati antiquati, di essere accusati di ideologismo, di buonismo insensato. Al contrario se l’ambizione di tornare al governo non si fonda sul coraggio della proposta alternativa, sfidando i sondaggi, la forza inerziale del presente è destinata a vincere per molto tempo.
Lasciarsi condizionare dagli umori che corrono in superficie, rinunciare a politiche al momento impopolari, esimersi dal sostenere fortemente la liberal-democrazia (molti a sinistra e a destra la confondono con lo sfrenato liberismo economico), è il modo più sicuro per contribuire a consolidare e rafforzare una deriva culturale che non è all’altezza delle grandi spinte sociali e ideali che avevano innervato la prima parte della storia della nostra Repubblica.
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