Un sondaggio recentemente pubblicato dice che l’85% dei cattolici italiani sarebbe d’accordo con Salvini e con la sua linea politica (che non ci sembra troppo retta non solo dal punto di vista geometrico o morale, ma piuttosto sinuosa e tortuosa a causa del continuo destreggiarsi del personaggio che dice, ridice, si disdice, si contraddice…).
A parte la veridicità della fonte, occorre sapere chi il sondaggio intende per “cattolici”. Sono i battezzati iscritti nei libri parrocchiali, ma non praticanti? Sono cattolici, ma non credenti? Cattolici che frequentano la messa domenicale, ma non la testimoniano nella vita quotidiana? O sono “religiosi”, cioè legati a tradizioni e pratiche di devozioni e non uomini di fede, che la vivono attestando così ogni giorno la vita buona del Vangelo?
Quando si brandisce il Crocifisso per combattere la “civiltà” cristiana si è crociati, ma non uomini segnati dalla croce o uomini crocifissi da oppressioni e schiavitù o diseredati o esclusi. Quando si giura sul Vangelo, che è Dio fattosi Parola e contemporaneamente si combatte lo straniero e lo si umilia e lo si deride, si è spergiuri. Quando si alza la corona del Rosario in segno di sfida, non si è umili come Colei che si invoca con la bella preghiera, ma si fa di un simbolo di mitezza un amuleto di cui molti si rivestono per scaramanzia o per fascino. Salvini si vanta della sua pratica religiosa, la ostenta, si appella alle tradizioni, ma la sua fede non può essere autentica perché proviene dal disamore. Anche se si fa riprendere dalla televisione mentre teneramente dice alla figlia: “Più tardi, cara. Adesso il papà sta lavorando per gli italiani!”, è insensibile davanti ai ventisette minori sequestrati sulla “Diciotti”: ordine arrivato fuori tempo massimo e solo dopo infinite pressioni, ma eseguito da un “papà buono”.
È stato insensibile davanti a un povero cieco che è tale perché è rimasto un anno al buio in un campo libico, a chi ha la mano paralizzata a causa di una pallottola, a chi pesa trenta chili, a chi non riesce nemmeno a camminare perché è pieno di dolori. Povero Salvini, non sa che queste persone sono le più amate e benedette dal Padre che sta nei cieli!
Il nostro e i suoi gregari fanno della religione un prodotto di principi – in questo caso – ideologici o partitici. Chi ideologizza la fede non crede in Dio. Lo scrive molto bene l’indimenticato e indimenticabile cardinal Martini: “Se si parla di Dio, occorre farlo con serietà. Altrimenti è meglio non avere il suo nome sulle labbra”. Salvini non può usare la Parola a suo uso e consumo, estrapolandola maldestramente (“Temete l’ira dei giusti”), confondendo l’ira biblica con l’indignazione. Salvini, riducendo la fede a mezzo per conquistare voti, se ne serve, mentre la fede si serve con l’esempio, con la convinzione di coscienza, capace di tradursi in amore verso gli altri. La politica staccata dalla coscienza diventa ostile all’uomo se deviata da interessi materiali o mossa da polemiche temporalistiche, da opportunismo e conformismo.
L’oppressione della pietà o della compassione è una colpa grave, come ogni oppressione della libertà. Stia attento il ministro Salvini perché essere uomo di governo gli impone più diritti che doveri. E non basterà che indossi una felpa con il distintivo della gloriosa A.N.A. – sempre prima ad aiutare la gente durante le grandi e piccole calamità che colpiscono il nostro paese – per cercare di crearsi un alibi di uomo dal cuore generoso!
Anzitutto ha il dovere di parlare chiaro sì, ma senza ingiuriare i deboli o irridere chi non la pensa come lui (“i buonisti rosiconi”), a non burlarsi di chi ha servito lo Stato prima e meglio di lui (“stanno seguendo una dieta costante di Malox!”). Ha il dovere di non assicurare promesse che sa bene di non poter mantenere (“Il giorno dopo che sarò eletto, 500.000 clandestini saranno sbattuti fuori dall’Italia”). E non deve darsi a smargiassate come il sequestro della “Diciotti” perché sapeva benissimo – non grazie alla sua competenza, ma ai consigli e ai pareri degli esperti – che la nave della nostra guardia costiera, essendo italiana, doveva attraccare ai nostri porti.
Salvini ha il dovere di rispettare le migliaia di genitori, di educatori, di docenti che si sforzano quotidianamente di proporre a ragazzi e giovani la verità che deriva dallo studio serio, impegnato, che cerca la conoscenza. Salvini, al contrario, con le battute da teatrino per i suoi compari (“Io sono stato votato, i giudici no” – “Un pezzo dello Stato indaga un altro pezzo dello Stato”) capovolge tutto un magistero e chissà quanti sforzi dovranno compiere gli insegnanti per convincere i loro discepoli che quello che hanno udito e visto non è vero.
Salvini ha il dovere di rispettare tutte le istituzioni, in modo particolare non contrapponendosi alla funzione legittima ed indipendente della magistratura perché la sua autonomia è uno dei cardini della democrazia liberale. E dovrebbe rispettare le sue sentenze, anche quelle che riguardano i 49 milioni sottratti indebitamente allo stato dal suo partito, rammentandosi che fino a pochi anni fa i suoi aderenti volevano saccheggiare “Roma ladrona”. Notiamo, viceversa, che il degrado incomincia dal Viminale.
Salvini ha il dovere di rispettare e di far rispettare la Costituzione (la “bibbia” laica!) sulla quale ha giurato, su quella Carta che egli nel referendum del 4 dicembre 20017 diceva di voler difendere. E non deve dimenticare che il compito del ministro degli Interni non è quello di perseguire coloro che egli tratta come nemici, ma quello di assicurare a tutti l’ordine pubblico senza fomentare egli stesso l’astio contro i diversi, gli stranieri, i “negher”.
Salvini dovrebbe essere più coerente con se stesso. Se egli è davvero sovranista e desidera mettere in primo piano la sovranità popolare (“Prima di tutto gli italiani”), chiudendo le frontiere, respingendo i barconi pieni di poveri disgraziati, dovrebbe onorare lo Stato e i suoi rappresentanti, ma lui lo Stato lo usa a suo comodo, “mentre lo Stato andrebbe sempre rappresentato dignitosamente, seriamente e con sobrietà” (Flavio Tosi, ex sindaco leghista di Verona).
I cristiani, i credenti, gli uomini di qualunque fede, tutti i “pensanti” dovrebbero essere diffidenti della retorica ridondante e ripetitiva, trasmessa con toni caldi e schemi semplici, dal Capo e sostituirla con la stringatezza della ragione. Dovrebbero rimpiazzare gli slogans, che non esprimono concetti, ma solo banalità, con la forza del pensiero. Dovrebbero amare, più dei soliti elementi ricorrenti, ripetitivi sino all’ossessione, i concetti che si esprimono con l’intelletto.
Dopo la tragedia dei totalitarismi, si pensava che la malattia del fanatismo e dell’idolatria del Capo fosse tramontata. E invece sembra che contagi ampiamente, pesantemente. Oggi dovremmo essere più intellettualmente attrezzati, meno facilmente aggrediti dagli imbonitori, meno sedotti da chi alla forza della ragione ha sostituito la forza dell’urlo.
Ci sovvengono le parole di Papa Francesco – sì, lo so che molti sodali di Salvini lo oltraggiano perché “comunista”, ma per gli uomini di fede resta sempre il “dolce Cristo in Terra” – pronunciate il 16 settembre di cinque anni fa:” Non si può governare senza amore al popolo e senza umiltà. E ogni uomo, ogni donna che deve prendere il possesso di un servizio di governo, deve farsi queste due domande: “Io amo il mio popolo per servirlo meglio? Sono umile e sento tutti gli altri, le diverse opinioni, per scegliere la strada buona?”
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