Grazie a un possibile accordo, ancora da definire, tra Fondazione Molina e Comune di Varese, sembra siano state finalmente poste in essere, o almeno rimesse in moto, le condizioni per restituire all’uso pubblico il Cinema Politeama: una sala storica, ampia, non compromessa e anzi tuttora integra dopo il forzato rifacimento seguito all’incendio del 1966, e non destinabile a scopi mercantili. La sala appare convertibile a un impiego multifunzionale al passo con i tempi e con bisogni sensati e facilmente riconoscibili. Il mio è il semplice contributo di idee di un non-tecnico che vorrebbe aprire una discussione pubblica e un serio confronto politico, in particolare tra la Fondazione e l’Ente Locale.
Le tempistiche, le risorse e la logica inibiscono per questa riconversione dei voli pindarici vagamente megalomanici. Non vi è modo, se non a costi proibitivi, di scavare o edificare un impianto scenico mobile, a piani sovrapposti, onde consentire l’accesso a mezzi pesanti di carico e scarico, senza ricorrere a rudi abbattimenti edilizi, passaggi sotterranei, giunture architettoniche e altri fantasiosi aggiustamenti. L’impiego a fini teatrali della sala non può che essere limitato a sistemi scenici più convenzionali e ridotti. Gli eventuali interventi devono mirare ad altre e più forti priorità. La riconversione non è alternativa, ma complementare rispetto al progetto del teatro in piazza Repubblica, teoricamente già approntato ma al momento impantanato.
È invece possibile ragionare mirando a un recupero efficace, flessibile, fattibile in sede finanziaria, architettonica e ingegneristica, utile alla collettività varesina e dei territori circostanti.
Città a forte vocazione musicale a 360°, Varese ha anzitutto bisogno di una sala per concerti, non afona, non raffazzonata, capiente quanto basta e in grado di ospitare non solo orchestre, cori e formazioni di musica classica – così da amplia- re il livello e l’ampiezza di offerta della attuale Stagione Musicale, vera e propria eccellenza del territorio –, ma altresì concertisti di musica jazz, contemporanea, etnica, rock e via elencando. In ambito musicale le difficoltà sono più abbordabili, anche perché (a quanto sappiamo) le potenzialità acustiche della sala non sono gravemente ostacolate dall’impianto architettonico interno. È possibile pensare a interventi adeguati (consistenti, ma non insostenibili) per l’insonorizzazione, la stabile predisposizione tecnologica (anche per registrazioni audiovisuali), e la realizzazione di servizi al pubblico nonché di spazi congrui a fronteggiare le necessità degli artisti (in particolare dei concertisti) e dei tecnici che li supportano. Le risistemazioni dell’Auditorium di via San Gottardo e del Teatro Parenti in viale Montenero a Milano indicano una via da seguire. Il reintegro degli spazi adiacenti alla sala di proprietà della Fondazione sembra costituire un passo obbligato su questa strada.
A questo ruolo prevalente, ma non unico, si possono associare altre «ospitalità»: – spettacoli teatrali allestiti in modo compatibile con le caratteristiche e i limiti della struttura; – proiezioni cinematografiche, possibilmente non meramente commerciali; – conferenze;– assemblee pubbliche; – eventi destinati alla scuola, l’università e l’alta divulgazione; – spettacoli di danza; – performances di arte contemporanea; – eventi a carattere popolare destinati a un pubblico più lar- go. Qualità e varietà dell’offerta si possono abbinare.
Due sono gli elementi decisivi. Dal punto di vista gestionale, la separazione tra direzione artistica (con un direttore unico di nomina comunale affiancato da un gruppo di esperti) e apparato manageriale, amministrativo e organizzativo, af- fidato a imprenditori privati o alle strutture stesse della Fondazione Molina (compatibilmente con le norme statutarie vigenti), appare indispensabile.
Una distinzione e un bilanciamento dei compiti si impone anche nell’immediato, soprattutto sul piano finanziario; e serve un tempestivo studio di fattibilità e sostenibilità, tenendo conto anzitutto delle finalità sociali della Fondazione. La cultura è un investimento in sé, un capitale sociale, una risorsa che dispensa i suoi benefici ben oltre i suoi costi, sia pu- re entro ambiti gestionali sostenibili. Il profitto non può essere la sola bussola e il solo criterio.
Dal punto di vista progettuale la qualità, l’integrazione e l’organicità del disegno architettonico, ingegneristico, tecnologico e acustico risultano determinanti. Non possiamo fallire. La remunerazione del progetto vincente e l’attrattività del concorso sono la sola garanzia – senza scomodare ad usum populi dei nomi scontati di questo o quell’architetto di grido, magari in fase di declino creativo – per avere progettisti e studi all’altezza, già testati e in grado di far fronte alle diverse, ma convergenti, necessità. La qualità decide, e costa. Le griglie concorsuali devono essere rigorose e selettive, ma altresì attraenti, in modo da costituire una sfida positiva per alti studi professionali.
Presi nel loro insieme questi segnali forti possono registrare una discontinuità e una volontà di ripresa della qualità della vita associata.
Valerio Crugnola
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