È nel buio che la luce più rifulge. Lo testimonia da secoli la pittura di Caravaggio. Pur trascinando la sua difficile esistenza tra bettole e litigi, Michelangelo Merisi è entrato nella storia dell’arte come massimo maestro di luce: illuminando la vita e la morte dei suoi Santi e dei suoi celebrati Cristi con fasci di limpida chiarità, che solo il suo animo travagliato riusciva a proiettare tanto felicemente sulla tela.
Nella notte dello scorso 27 luglio, notte di eclisse e di luna straordinaria, abbiamo tutti alzato gli occhi al cielo, stupiti e ammirati dall’intensa luminosità del disco lunare dopo il totale oscuramento.
E quante domande ci siamo fatti partendo dalla magia di tanta esattezza astrale che arriva, precisa, a confermare i calcoli (a loro volta esatti) degli umani che osservano da lontano?
Ma abbiamo pensato anche: non importa in fondo non sapere tutti, e tutto, di astronomia, se soltanto osservare il cielo e la sua azzurra luce aiuta a comprendere meglio la terra e i suoi abitanti, se induce ciascuno a sperare.
Avranno guardato al cielo con occhi di speranza, in quella stessa notte, anche i naufraghi dei barconi alla deriva, avranno implorato gli astri e il loro dio di concedergli finalmente un porto quieto e ospitale, un presepe , seppur modesto ma baciato dalla luce delle stelle, in cui ricoverare le famiglie affrante dal viaggio e dalla paura ?
Noi lo crediamo, ne siamo convinti.
Vi ricordate Anna Frank ? Guardava al cielo da una finestra sotto il tetto, nella prigionia impostale dalla persecuzione razzista, e continuava a sperare. Dichiarava nel suo diario di continuare a credere nell’uomo proprio perché quel cielo le diceva che, al disopra della cattiveria umana, delle meschinità degli egoisti, della pericolosa ottusità degl’imbecilli – soprattutto questa l’avrebbe portata alla morte fisica a Bergen Belsen – continuava ad albergare in molti il seme sano dell’umanità giusta.
Se Anna non è davvero mai morta ė perché quel suo sguardo rivolto al cielo l’ha fatta immortale, assieme alla penna che, da vera scrittrice, seppe impugnare come una spada.
La penna può essere un ponte di speranza, un’arma rilucente in tempi bui.
Anni fa lo scrittore Luigi Santucci diede alle stampe un libro – che considerava come il suo ‘testamento solare’ – intitolato Il cuore dell’inverno (Piemme, 1992).
Così motivava la principale ragione che lo aveva mosso a scriverlo: “Il mio testamento solare vuole essere un messaggio di controffensiva alla disperazione, all’incanaglimento, alla volgarità che sembra abbattersi sul mondo. E i suoi punti di forza sono due: la speranza (quella teologale e quella profana e quotidiana) e la poesia: quella dei poeti ma che abita e fruttifica anche in ogni uomo comune e illetterato”.
Nel cuore dell’inverno della sua vita, cioè la vecchiaia che lo avvicinava alla fine, Santucci, deposta la corazza dell’intellettuale, interrogava severamente anche se stesso: si poneva diverse domande sull’utilità del suo mestiere immaginando un dialogo tra un Angelo, un angelo custode, e il suo protetto, appunto uno scrittore.
Il primo invitava il secondo a ripercorrere “umanamente e appassionatamente” la sua umana vicenda : “ Io sono solo capace di cucire parole – osservava lo scrittore – Io non sarò mai santo”.
Nelle parole dell’Angelo trovava la salvifica risposta “Chi te lo ha detto? Ogni scrittore è santo quando, curvo sulla sua carta, vi solleva in quel verde pianeta che credevate scomparso. Quando riempie le sue righe perché non si spenga il lucignolo che vacilla in voi. Quando cava la fiaccola da sotto il moggio e va a piantarla sulla collina alla vista di quelli che si sono smarriti. Lo è anche Leopardi, dove vi fa sentire gli uccelli festanti perché è ‘passata la tempesta’ e Rimbaud nel proclamare che ‘tutti gli esseri viventi hanno un destino di felicità” e Pasolini che vi ha parlato di quella ‘speranza della speranza’ che lumeggia nel fondo di ogni buia notte…”.
“il buon Dio – conclude l’Angelo – quest’ultima salute l’affida a gente come voi: visionari, sognatori, rabdomanti inconsci, profeti dell’assurdo, cercatori del Santo Graal. Alle vostre avventurose parole. Perché siate voi a guarire il mondo, impedendo agli uomini di farsi eunuchi della Speranza…”.
Ecco, è quella fiaccola sotto il moggio che ci piace veder brillare nella notte, accesa sopra la collina.
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