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Attualità

LE RANE

EDOARDO ZIN - 06/09/2018

Le rane chiedono un re

Le rane chiedono un re

“Postquam immoderata libertas Atheniensium mores corrupit et licentia legum frenum solvit….”:ve la ricordate la favola narrata da Fedro che eravamo costretti a tradurre? “Dopo che l’immoderata libertà degli Ateniesi corruppe i costumi e l’abuso delle leggi sciolse il freno…”? – Questo apologo, che Fedro ha mutuato da Esopo, mi rimanda a questi nostri giorni nei quali, oltre alla calura estiva, ho dovuto assorbirmi gli sproloqui di politici arroganti e le ciance dei loro sodali. Parafrasando un filosofo, di cui non ricordo il nome, (la memoria alla mia età comincia a incepparsi!) mi viene voglia di dire:” L’ignoranza più grande non è non sapere, ma avere l’illusione di conoscere”.

Ebbene come gli Ateniesi piangevano la loro triste situazione, anche noi abbiamo penato in questa estate per le nostre sorti: i morti per naufragio nel Mediterraneo, l’esplosione di un camion- cisterna su un’autostrada a Crevalcore, il crollo del ponte Morandi a Genova, la terra che ha tremato nel Molise, un torrente in piena che ha travolto dei turisti nel parco del Pollino. Una serie di calamità che si sono aggiunte a quelle di Amatrice, di Rigopiano, d’Ischia, di Viareggio.

E ad ogni sciagura segue il coro dei commentatori: quello dei “tuttologi” che avevano già previsto tutto (ma che non hanno denunciato!) , dei politici che si affrettano non a pensare al futuro, ma a incriminare chi è venuto prima di loro (salvo, poi, tacere di fronte ad atti ufficiali che provano la loro partecipazione al crimine imputato agli altri!), gli addetti alla comunicazione che gareggiano a narrare storie su cui non hanno avuto il tempo di riflettere perché devono gareggiare con il concorrente e devono raccontare al più presto possibile i simulacri di un mondo su cui costruire slogans e non idee (salvo, successivamente, dover chiedere scusa e rettificare la notizia dimostratasi infondata!) e ci sono coloro che, dopo essere stati arringati dal capo-bastone, gridano, schiamazzano, urlano, fischiano perfino durante i funerali, quando la pietà dovrebbe vincere sull’odio, portati al parossismo, all’isteria, alla mancanza di perizia proprio come il loro capo, docente di diritto penale, che non nasconde la sua pulsione per il giustizialismo.

Nella favola di Fedro, gli ateniesi piangono la triste schiavitù a cui sono soggetti non perché il tiranno Pisistrato sia crudele, ma perché non sopportano più di essere dominati da regole, a rispettare le leggi imposte da saggi uomini. Preferiscono abusare delle regole o, meglio, non avere freni ai loro costumi corrotti. Racconta questa favola:

“Un tempo, le rane, che erravano libere nello stagno, chiesero a Giove, con grande schiamazzo, un re perché reprimesse con vigore i costumi depravati.” Si esamini bene: erano rane, quegli animali che gracidano insolenti nella melma degli stagni, che non sanno né strisciare né volare alto, ma saltellano di qua e di là col loro corpo sgraziato. Animali ributtanti, essi assomigliano a quella varietà di uomini d’oggi che si accontentano di vivere alla giornata, saltando di qua e di là, che si appagano di chiudersi nella palude in cui regnano compromessi, egoismi, soprusi, disprezzi verso l’altro: un popolo bruto e rozzo dai sentimenti ignobili, dunque. Non partecipano alla vita pubblica né firmano appelli. Si limitano a gracidare, a ciarlare, restando immobili a guardare anche se, al momento di prendere serie decisioni, seguono il rospo più corpulento, che credono essere il loro unico interprete legittimo. Sono complici silenti e colpevoli!

Continua Fedro: “Giove rise e mandò alle rane un travicello che cadde con grande rumore nello stagno. Le rane, intimorite, si nascosero nel limo, ma una di esse, vinto il timore, tirò fuori silenziosamente dallo stagno il viso e, visto il re, chiamò le compagne”. Anche oggi, alla vista di uomini inviati per mettere a posto le cose, molti si nascondono, non ne vogliono sapere. Sono pochi gli uomini saggi che tentano di capire chi è costui, che cosa è capace di fare, di attendere da lui un atto se non nobile, almeno giusto. Non si accontentano questi ricercatori di verità di cedere alla prova, tentano, rischiano, accettano la sfida.

“Le altre rane salirono sopra il legno e offesero con molti epiteti questo pezzo di legno e subito dopo mandarono da Giove alcune di loro a chiedergli un altro re. “Si erano accorte, le rane, che il travicello resta a galla sì, ma rischia di affondare. Ai giorni nostri si possono trovare dei “re Travicello” (chiedo scusa al Giusti se mi approprio del titolo di una sua famosa poesia!), ma costoro non sanno che pesci pigliare, galleggiano, emergono tutto ad un tratto e non sanno con chi confrontarsi, sono dipendenti da chi sta a loro attorno, schiavi della loro sete di dominio e del rigurgito di partitocrazia. Rischia il “re Travicello”, a forza di non prendere decisioni, di starsene in disparte, di cercare compromessi e di non “metterci la faccia” (come su usa dire!), di essere travolto dall’atleta sbruffone o dal suo gemello mingherlino tutto ammodo, ma altrettanto falso e incompetente, e di sprofondare nello stagno. Le rane, allora, chiederanno un altro re.

“Allora Giove mandò un orribile serpente che fece un’enorme strage di rane”. È il rischio che corre l’Italia: un uomo forte che si faccia avanti non tanto all’improvviso. Dapprima spiana il terreno con le sue urla sguaiate, i giuramenti che sa di non poter osservare, le accuse infondate al fine di assecondare l’opinione pubblica che lo osanna, gli stringe le mani, lo strattona durante i funerali per fare un selfie con lui. Quando tutti saranno esausti e non ne potranno più delle sue ciance, allora lui s’infischierà del diritto, delle regole di convivenza e sarà più facile per lui impadronirsi del potere, di cui è avido non per servire il popolo, ma perché potrà dimostrare il suo predominio e allora – ritornando a Fedro – “tutte le rane correvano per la palude per evitare la morte e inviarono Mercurio da Giove perché le aiutasse nuovamente a trovare un nuovo re”.

Ma il re degli dei disse a Mercurio:” Non hanno sopportato il minor dei mali? Adesso sopportino un male più grosso!”.

È così. Avevamo dei governi che, nei limiti imposti loro dalle regole costituzionale e dai vincoli di bilancio imposti dall’Europa, facevano il loro meglio. Forse, non ci piacevano i loro rappresentanti incapaci perfino di fare una seria autocritica. Adesso ci troviamo dei personaggi che non solo non sanno governare, ma distruggono quel poco di bene che è stato costruito in tanti anni. Sono accecati dai loro slogan, dalle loro ideologie che li portano perfino a stravolgere le regole della semantica (“gli obblighi flessibili”!), prigionieri delle loro associazioni mentali (“E un nero? È stato lui!”), che non hanno la minima capacità di non-contraddizione (un giorno: “Abbiamo avviato la revoca della concessione”. Il giorno dopo: ”Stiamo studiando l’avvio alla procedura per valutare se si possa arrivare alla revoca della concessione!”).

Le rane chiesero re differenti pur di non cambiare i loro costumi corrotti. Ma si trovarono un male peggiore. Altrettanto il nostro Paese esploderà nelle mani di chi ci governa per eccesso di superficialità, di incompetenza, d’insipienza di gestire la complessità.

Più che inutili processi sommari, le persone sapienti dovrebbero fare l’unica cosa utile: non cadere nella trappola dell’isteria, fare silenzio, non cogliere le provocazioni, allearsi con chi condivide una visione di futuro, non frammenti di passato, e continuare a costruire legami di solidarietà.

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