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Presente storico

ALLORA E ORA

ENZO R. LAFORGIA - 27/07/2018

Patrice Lumumba

Patrice Lumumba

«Oggi, il fatto di maggior rilievo, del quale ognuno deve prender coscienza, è che la questione sociale ha acquistato dimensione mondiale. […] I popoli della fame interpellano oggi in maniera drammatica i popoli dell’opulenza.»

Queste parole non sono state pronunciate in tempi recenti né il loro autore potrebbe essere classificato, secondo lo stupidario dei nostri giorni, un pericoloso “mondialista” o un “buonista” al servizio degli “scafisti”. Sono tratte, queste parole, dalla lettera enciclica Populorum progressio, licenziata dal papa Paolo VI il 28 marzo del 1967, ma con la data del 26 marzo, giorno di Pasqua.

Figlia dei tempi (si collega idealmente al discorso che il pontefice pronunciò presso l’Organizzazione delle Nazioni Unite il 4 ottobre del 1965), questa enciclica fu accolta da un coro di critiche «irrazionali», come le definì «Civiltà cattolica», mosse da chi scorgeva in questo documento una pericolosa deriva marxista della Chiesa.

Figlia dei tempi, anche perché quel decennio era iniziato lasciando intravedere uno spiraglio di speranza per il continente africano. Il 1960, infatti, è ricordato, con una certa enfasi, dai libri di storia come «l’anno dell’Africa». Dopo che, nel 1945, quasi tutta l’Africa era ormai sottoposta al dominio coloniale europeo, in quel 1960 ben diciassette Stati africani ottennero l’indipendenza. Il processo per l’autodeterminazione dei popoli africani proseguì poi, con ritmi sempre più accelerati, per tutto il decennio e proseguì nel corso degli anni Settanta. Come si sa, le cosiddette «prima» e «seconda» decolonizzazione non realizzarono pienamente le speranze di emancipazione dei popoli africani. Anche perché i movimenti indipendentisti furono costretti a rivendicare la libera costituzione di uno Stato all’interno di uno spazio territoriale che era stato, arbitrariamente, definito dai colonizzatori. E ciò fu all’origine, unitamente alle tensioni generate da interessi economici e politici dell’Occidente, delle guerre civili, che per molto tempo resero ingovernabile gran parte di quel continente.

Il macigno rappresentato dalla lunga stagione dell’imperialismo fu evocato da Patrice Lumumba, primo ministro della Repubblica democratica del Congo, nel famoso discorso per la concessione dell’indipendenza il 30 giugno del 1960:

«Abbiamo conosciuto l’irrisione, gli insulti, le bastonate che dovevamo ricevere mattina, mezzogiorno e sera perché eravamo dei negri. Chi dimenticherà che ad un nero si dava del tu, e non certo come ad un amico, ma solo perché l’onorato “voi” era riservato ai soli bianchi? Abbiamo conosciuto la spoliazione delle nostre terre in nome di testi che si pretendevano legali ma che in effetti non facevano altro che riconoscere la legge del più forte; abbiamo capito che la legge non era mai la stessa quando si trattava di un bianco e di un nero e che diveniva accomodante per gli uni, crudele ed inumana per gli altri. Abbiamo conosciuto le sofferenze atroci dei confinati politici. Abbiamo capito che c’erano nelle città case magnifiche per i bianchi e capanne crollanti per i negri, che un nero non era ammesso né nei cinema, né nei ristoranti, né nei negozi detti “europei”, che un nero viaggiava sul ponte delle imbarcazioni, ai piedi della cabina di lusso riservata al bianco.»

Lumumba fu poi assassinato e letteralmente fatto a pezzi per ordine di Mobutu, promotore di un colpo di Stato sostenuto dagli Stati Uniti. Era il 1961 e Lumumba aveva 35 anni.

Nello stesso anno in cui Lumumba veniva assassinato, in Europa iniziava a circolare quello che sarebbe diventato un manifesto della lotta politica anticolonialista e terzomondista: I dannati della terra, dello psichiatra martinicano Frantz Fanon. Il libro uscì in Francia, accompagnato da una presentazione di Jean-Paul Sartre, e in Italia, grazie all’interessamento di Giovanni Pirelli (l’autore sarebbe scomparso alla fine di quel 1961, colpito da leucemia). Benché molto lontano, per visione e capacità interpretativa, dall’enciclica di Paolo VI, il testo di Fanon, nelle conclusioni, proponeva un’immagine analoga a quella più sopra citata della Populorum progressio:

«Il Terzo Mondo è oggi di fronte all’Europa come una massa colossale il cui intento deve essere quello di cercare di risolvere i problemi ai quali quest’Europa non ha saputo recare soluzioni.»

Frantz Fanon auspicava che l’uomo colonizzato si emancipasse dai suoi colonizzatori attraverso una lotta armata e rivoluzionaria simile a quella che si era consumata in Algeria. La storia non è proseguita in quella direzione. Resta, oggi, il problema: «una questione sociale», che ha assunto una dimensione globale, e «una massa colossale di uomini», che cerca di uscire dal fondo di disperazione e povertà in cui è stata precipitata dall’uomo occidentale. Certamente non lo risolveremo riproponendo una visione del «mondo a scomparti» o del «mondo scisso in due», di cui parlava Fanon e che oggi viene riproposta dai nazionalisti incendiari che si moltiplicano in Europa (e che, chissà perché, i media preferiscono definire, più amabilmente, “sovranisti”). Non sarebbe forse inutile domandarsi, tra un tweet ed un post, tra un insulto e uno sputo, tra un urlo e uno slogan, come mai, nel corso di quasi sessant’anni da quelle denunce e da quelle analisi, nulla sia cambiato.

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