Il termine povero è uno degli aggettivi/sostantivi più in uso, che ha il massimo di una sua “negatività”, spesso affettuosa e di rimpianto, quando parlando o scrivendo lo si accosta a una persona defunta; per la positività invece siamo in piena e libera soggettività, a me piacciono perché mi rasserenano le occasioni in cui, per motivi diversi, lo si incontra come il poverello di Assisi.
Nel clima vacanziero di questi giorni parlare di poveri può creare qualche dissenso, merita però attenzione l’annuncio che in Italia ci sono 5 milioni di poveri: cifra shock, ma non troppo dal momento che siamo ormai quasi al livello di una repubblica delle banane e come tale trattata dall’Europa. Una situazione niente male per uno Stato fondatore del grande consorzio europeo. Per di più siamo finiti nel sottoscala dopo aver raggiunto proprio con la classe politica della Prima Repubblica – erano gli anni ‘80-90 – eccellenti risultati in vari settori delle attività.
Gli sforzi invece della Seconda Repubblica, tesi a grandi successi, a causa anche della crisi mondiale e di nuove filosofie si sono tramutati nell’arco di tre lustri in una vera rotta. Oggi ricordiamo, quasi con nostalgia, anche partiti e uomini dei quali magari non condividevamo addirittura scelte e azione…
La notizia dell’alta marea della povertà ufficiale è corroborata da cifre, ma sembra non accennare al mezzo milione e oltre di migranti che ospitiamo. E se, guardando al futuro, aggiungiamo che la quasi totalità delle nuove italiche leve in questi giorni, tra gli osanna delle famiglie e dei mezzi di comunicazione, ha superato l’esame finale delle scuole medie superiori, si potrebbe temere che la deriva nazionale non finirà a breve. Come dicevano le nostre nonne per rimarcare una situazione ricca di preoccupazioni “Semm tacà su de lavà giò.”
Ma non si può scherzare se ci sono milioni di italiani che dopo anni di mutamenti epocali hanno finito per accettare nuove flessibilità legislative e comportamentali in fatto di democrazia, libertà, e rispetto di valori che erano ritenuti cardini di una buona società. È affiorata e si è rafforzata l’impressione che nel Paese siamo in troppi a non cogliere significati e pericoli dell’attuale deriva, a non voler assumere la responsabilità di una reazione che abbia riferimenti solidi.
Se si guarda solo a casa nostra va però detto che ci sono stati passi significativi, per esempio si è reagito elettoralmente alla subdola anestesia praticata per anni e anni dal Centrodestra. Per di più lo si è fatto anche non ricorrendo alla nuova cultura politica proposta al Paese da apprezzati esperti di comicità.
Un altro passo importante il meglio tardi che mai: ecco la sveglia e la consapevolezza, dopo una ventina di anni di delusioni, nel segno di analisi e di nuove scelte fatte con prudenza, non secondo standard rivoluzionari.
Siamo una Varese nuova che chiede di recuperare valori messi in soffitta per dare fiducia e spazio alle grandi promesse di un asse conservatore che oggi sta collezionando pesanti critiche su vari fronti di una operatività sbandierata e mai praticata. Le chicche di questo disastro gestionale le raccontano gli uomini della sanità, vittime al pari degli ammalati, della riforma che disgraziatamente porta il nome di Maroni, vale a dire un presidente della Regione ben lontano dalle imprese giudiziarie del suo predecessore. Una riforma che a Milano e con incredibili silenzi, disattenzioni o omissioni, è stata accettata anche dalla Sinistra.
Oggi i primi passi sul sentiero del recupero cittadino alla consapevolezza di un governo accettabile sono ufficialmente patrimonio del nostro Centrosinistra, ma al nuovo cammino hanno contribuito e molto anche coloro che, con modi diversi hanno voluto sottolineare il nulla realizzato da Lega e alleati per quasi un quarto di secolo.
Nella sostanza il ribaltone di Palazzo Estense ha avviato e vuole sostenere il recupero pieno della certezza di appartenenza a una comunità ancora solida e come tale degna di aiuto nell’attenzione anche a valori come la ricerca della qualità dell’impegno e del coraggio davanti a un futuro non roseo.
Esemplari poi della nostra città la solidarietà e l’amore per il prossimo: sono a volte espressioni di culture diverse, ma completano mirabilmente e supportano il senso civico che ha sempre contraddistinto la comunità varesina, ancora oggi ben lontana dai disastri di non poche città italiane.
Rientrati dalle vacanze non avremo l’angoscia e i problemi, cioè nuove povertà, di altre città : la nostra situazione è particolare, non richiede magie e miracoli di sinistra o di destra, ma lealtà e partecipazione. Che sono una cosa ben diversa da accordi sottobanco o alleanze politiche innaturali.
Ci sono obiettivi che richiedono analisi serene e penetranti perché sono davvero strategici per la comunità.
Tutta Varese per esempio deve partecipare alla difesa e al rilancio di ospedale e università e al recupero di un equilibrio ambientale che si presenta deteriorato.
Lavorando con impegno e concretezza potremo ritrovare autorevolezza anche nell’ambito politico. E uscire da uno stupidario comportamentale che a volte affiorava e che proprio non è piaciuto anche ai cittadini ai ai quale piace riferirsi anche al passato. Giorni di un’epoca che scrittori e poeti ci hanno deliziosamente raccontato. E la Varese del lavoro, quella dell’industria, dei commerci e del pianeta artigiano ha portato in alto. E nobilitato.
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