Si scherza col fuoco, con le armi da fuoco. Non bastassero le stragi ammonitrici nei campus universitari americani, anche l’Italia flirta pericolosamente con il fascino di fucili e pistole. Colpa del clima di paura che serpeggia nel Paese, alimentato da chi ha interesse a farlo e smentito dai dati ufficiali sull’andamento dei reati. Secondo il Rapporto Censis Federsicurezza, Milano è la capitale del crimine con 7,4 illeciti denunciati ogni cento abitanti, ma in Italia le violazioni diminuiscono. Nel 2017 sono stati denunciati 2.232.552 atti illegali, diminuiti del 10,2% rispetto all’anno precedente. In particolare gli omicidi si dimezzano dai 611 del 2008 ai 343 dell’ultimo anno (-43,9%), le rapine passano da 45.857 a 28.612 (-37,6%) e i furti da 1,4 milioni a 1,2 milioni (-13,9%).
Lo stato di salute migliora ma restano i problemi legati alle aree metropolitane. In queste zone vive il 21,4% della popolazione italiana e si consuma il 30% dei reati. Secondo il Censis il 31,9% delle famiglie ha una percezione di pericolo nella zona in cui vive. Le percentuali più alte si registrano al Centro con il 35,9% e al Nord-Ovest (33%). Secondo il rapporto Censis, il 21,5% degli italiani considera la criminalità un problema grave, al quarto posto dopo la mancanza di lavoro, l’evasione fiscale e l’eccessiva imposizione delle tasse. Per le fasce a reddito basso che vivono in zone disagiate, è la seconda emergenza dopo la mancanza di un’occupazione lavorativa.
Ciò incoraggia la politica che cavalca il clima di insicurezza. In campagna elettorale Matteo Salvini avrebbe contratto un impegno di “mutuo soccorso” con il mondo della caccia e le opposizioni sono insorte dicendo che così si fanno solo gli interessi delle lobby delle armi, 2500 imprese tra produzione e indotto con 92 mila addetti. Il settore vale più o meno lo 0,75 del prodotto interno lordo. In questi giorni si discute in commissione giustizia al Senato su cinque proposte di legge di iniziativa popolare (presentate da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega) per modificare l’art. 52 del Codice Penale che regola la legittima difesa. Per la legge in vigore non è punibile chi reagisce per difendere un diritto proprio o altrui dal pericolo di un’offesa ingiusta a patto che la difesa sia proporzionata all’offesa. E la difesa è proporzionata quando utilizza un’arma legittimamente detenuta e se esiste un effettivo pericolo di aggressione.
Le proposte di iniziativa popolare puntano ad inasprire le pene previste dall’art. 614 sulla violazione di domicilio e a modificare l’art. 55 che disciplina l’eccesso colposo, stabilendo che esso non sussiste se la condotta è diretta alla salvaguardia della propria e altrui incolumità. Per Fratelli d’Italia, in particolare, la legittima difesa si configura sempre quando la violazione della proprietà privata crea paura ed agitazione nella persona che reagisce e tocca alla controparte dimostrare il contrario. Per Forza Italia la difesa deve essere valutata sulla percezione del pericolo avvertito dalla vittima ed è sempre legittima quando c’è violazione della proprietà privata. Per la Lega, infine, è legittima anche quando è sproporzionata rispetto all’offesa.
Il progetto di Salvini fa storcere il naso a chi tutela la giustizia: “La proporzionalità è un principio da cui non possiamo prescindere – tuona Francesco Minisci, presidente dell’associazione nazionale magistrati – Se interveniamo in questi termini rischiamo di legittimare l’omicidio e la giustizia fai da te. Considerare legittima difesa un soggetto che rincasa la sera e può sparare a una persona che vede arrampicarsi sul proprio balcone è una distorsione inammissibile”. Frena anche il guardasigilli Alfonso Bonafede del M5s. Nessun Far West, nessuna concessione alle lobby delle armi, anzi bacchetta il collega leghista: “Non liberalizzeremo l’uso della armi. Il tema della legittima difesa riguarda la giustizia e non la sicurezza e l’ordine pubblico”. Insomma è competenza del suo ministero e non del Viminale.
Dal diritto a difendersi al bisogno di armarsi il passo è breve. In America possedere colt, fucili a pompa e carabine è previsto nero su bianco nel secondo emendamento della Costituzione e in molti Stati confederati non c’è limite all’età minima per acquistarli. Al netto del crimine organizzato, per fortuna, l’Italia ne limita invece l’uso alla caccia. Con tutto questo, il nostro è il primo Paese del G8 per numero di omicidi commessi sparando, grazie al fiorente mercato nero. Stando ai più recenti dati disponibili forniti dal ministero dell’Interno, nel 2016 le licenze per difesa personale con armi corte e lunghe furono 18.362; che, sommate alle licenze concesse alle guardie giurate e per la caccia e il tiro sportivo salgono a un milione e centomila (580 mila caccia, 456 mila tiro a volo, 46 mila guardie giurate).
Anche da noi, come negli Usa, la licenza dà la possibilità di possedere più di un’arma. La legge italiana consente di detenere un numero illimitato di fucili da caccia e fino all’aprile 2015 (quando entrò in vigore il decreto antiterrorismo) anche le carabine semiautomatiche rientravano nella categoria venatoria. Secondo un’indagine realizzata da Elisa Murgese ed Elisabetta Tola per l’Agenzia Italia, nel nostro Paese ci sono 1300 punti vendita al dettaglio, ai quali si aggiungono oltre 400 associazioni sportive dilettantistiche e tiri a volo, con un volume d’affari di 100 milioni di euro (fonte Anpam, associazione nazionale dei produttori per uso sportivo e civile).
Quanti sono gli italiani che posseggono rivoltelle e doppiette? Non esistono dati ufficiali ma il numero accreditato dal Censis è di 4,5 milioni di persone, con un aumento del 13,8 per cento delle richieste di porto d’armi nell’ultimo anno. Poca cosa rispetto a 270 milioni di canne da fuoco diffuse sul territorio americano. Ma Giorgio Beretta, analista dell’Osservatorio permanente di Brescia (Opal), osserva che “la vera emergenza in Italia sono i delitti commessi con pistole e fucili legalmente detenuti” e mette in guardia: “Se si estende la norma sulla legittima difesa con la presunzione di innocenza per chi difende la proprietà, mantenendo inalterate le attuali norme sul possesso, c’è il rischio di una corsa ad armarsi”.
Le commissioni di Camera e Senato sono al lavoro sul decreto legislativo che deve recepire la direttiva europea del 2017 in tema di acquisizione e detenzione di armi da fuoco. Il decreto dovrebbe essere approvato entro il 14 settembre e prevede che le armi siano tracciabili, che le licenze di detenzione e porto per tiro a volo e caccia durino cinque anni invece degli attuali sei; che le licenze per difesa personale siano rinnovate ogni anno e chi possiede un’arma, senza porto, dovrà produrre un certificato medico ogni cinque anni che attesti il proprio stato di salute psico-fisico (ad eccezione dei collezionisti di materiale antico). Infine alcune armi consentite saranno vietate ai civili, ad esempio i fucili.
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