Thomas Piketty giovane economista francese, nel suo Le capital au XXIe siècle, espone i risultati di una lunga ricerca in cui descrive l’evoluzione e le dinamiche del capitalismo degli ultimi tre secoli. Sottolinea come lo squilibrio tra crescita economica e rendita del capitale costituisca una delle principali contraddizioni del capitalismo. Squilibrio che sarebbe responsabile di un aumento quasi meccanico dei grandi patrimoni, la cui inesorabile progressione minaccia sempre più i valori di giustizia sociale su cui poggia una democrazia.
La ricchezza era maggiormente distribuita quando l’economia, segnata dai traumi delle due guerre mondiali, aveva conosciuto tassi di crescita molto alti. Così nel periodo 45-80 era stato possibile ridurre le disuguaglianze. Oggi però, finita questa fase, stiamo tornando al capitalismo delle origini, dove l’eredità aveva un peso preponderante. C’è un ritorno di prosperità patrimoniale che ricorda quella dell’inizio del XX secolo. Il che naturalmente potrebbe anche essere un dato positivo, perché è sempre meglio avere capitali invece dei debiti.
Oggi in Europa e in particolare in Italia, si insiste molto sul debito. In realtà abbiamo molto più capitale che debito. Il nostro patrimonio, al netto del debito pubblico e privato non è mai stato così elevato. Corrisponde a circa sei anni di PIL. Si dice spesso che lasceremo ai nostri figli una montagna di debiti, in realtà lasceremo loro un patrimonio che non ha eguali in passato. Quando, come oggi, la rendita del capitale supera durevolmente il tasso di crescita dell’economia si crea uno squilibrio che tende ad ampliare le disuguaglianze, erodendo soprattutto il patrimonio della classe media. A parte i periodi in cui l’economia cerca di colmare un ritardo, come ad esempio nel dopoguerra, sul lungo termine la crescita della produzione non supera mai di molto l’1-1,5 per cento annuo. Oggi la rendita media del capitale è del 3-4 per cento.
Naturalmente esistono alcuni investimenti a rischio che possono essere più redditizi, ma sul lungo periodo la media è questa. Una situazione che scava sempre di più le disuguaglianze patrimoniali. Il capitale si riproduce da solo molto più rapidamente della crescita economica e i ricchi diventano sempre più ricchi. Ovviamente non esistono soluzioni naturali. Il sistema da solo non riduce le disuguaglianze.
L’errore dei liberali è di credere che la crescita da sola possa risolvere ogni problema, favorendo la mobilità sociale. In realtà non è così. Le disuguaglianze restano e anzi si accentuano. In passato, per ridurle e mettere un freno alla concentrazione dei capitali si è fatto ricorso alle imposte sul reddito e sulle successioni. Ciò ha permesso di allargare la base sociale su cui poggia il patrimonio globale. Questo dimostra che per crescere non c’è bisogno della grande concentrazione patrimoniale del XIX secolo né di penalizzare la classe media. La tendenza del capitale a riprodursi e ad accentuare le disuguaglianze non potrà essere combattuta solamente nelle aule delle migliori università.
Per questo sembra necessaria la leva della tassazione. Un’imposta progressiva e trasparente sul capitale a livello internazionale. L’ideale sarebbe tassare tutte le grandi fortune a livello mondiale, da quelle americane a quelle mediorientali, dai patrimoni europei a quelli cinesi. È una proposta che può sembrare utopica, ma un secolo fa anche l’imposta progressiva sul reddito era solo un’utopia. Occorre volontà politica. Potremmo cominciare a livello europeo, visto che la nostra economia rappresenta un quarto del PIL mondiale. Il mercato e la proprietà privata hanno certamente molti aspetti positivi, sono la fonte della ricchezza e dello sviluppo ma non conoscono né limiti né morale. Tocca alla politica riequilibrare un sistema che rischia di rimettere in discussione i nostri valori democratici e di uguaglianza. La politica può intervenire in maniera intelligente o distruttrice. Da questo dipende il nostro futuro.
Sui maggiori redditi c’è un timore reverenziale ad agire. Mentre serve uno sforzo corale per introdurre tassazioni che progressivamente vadano a incidere sui profitti maggiori per ridurre almeno le più inaccettabili tra le disuguaglianze. Il tutto non avviene sia per lo strapotere delle lobby sia per la paura di perdere base impositiva. Ma per ridurre le disuguaglianze in Italia vogliono introdurre anche la flat tax.
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