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Cara Varese

ALTRI GIRI, ALTRE CORSE

PIERFAUSTO VEDANI - 20/07/2018

Attilio Fontana, già sindaco di Varese ora governatore della Lombardia

Attilio Fontana, già sindaco di Varese ora governatore della Lombardia

Ci sono più metodi anche per valutare le sensibilità sociali dei popoli legate alle discipline sportive. Per la maggior parte le valutazioni oggi possono anche avvalersi di dati storici e culturali: le Olimpiadi sono state una magica invenzione, hanno parecchi secoli sulle spalle, ma viste le recenti vicende politiche tra gli USA e le due Coree, si può dire che i grandi Giochi abbiano ancora la loro antica efficacia.

L’orgia televisiva che ci ha coinvolti con i campionati del mondo di calcio ha confermato che interi continenti da tempo si sono buttati a pesce sul football vivendo le partite con quel pizzico di follia che in Italia viene chiamato tifo. Città e popoli che possono godersi in tutta tranquillità campionati nazionali eccellenti hanno superato in fatto di calore eccessi di tifo e fantasia il nostro pubblico più appassionato, anzi tifoso in misura esplosiva, quello napoletano.

I mezzi di comunicazione si sono dati da fare parecchio per coinvolgere i tifosi e l’intero loro Paese nella ridda atletica, ma anche di mezzucci e furberie, presentata dalle squadre in azione sui campi della Russia dove le fratellanze di calciatori si sono ritrovate per il quadriennale appuntamento.

Tanto clamore ha messo un po’ all’angolo le vicende politiche, in Italia vero tormento per un popolo che, avendo conosciuto per la prima volta la democrazia poco più di 70 anni or sono, è ancora al sillabario e fa rimpiangere la generazione che ha conquistato e gestito i primi tempi di una libertà sconosciuta.

I mondiali di calcio sono stati una pausa, breve e nemmeno tranquilla, della lotta per non retrocedere ulteriormente nel contesto europeo, oltre che in quello nazionale dove ci sono 5 milioni di poveri, bande di ladroni, non molti uomini di buona volontà e una comune grande, millenaria storia che a tutti noi poco nulla ha insegnato.

La nostra cara Varese vive ancora di rendita per il molto di valido aveva realizzato nella seconda metà del ‘900, ma le prospettive non sono entusiasmanti e oggi reggiamo ancora grazie al mondo del lavoro mentre non riusciamo a darci una classe politica capace di rafforzare impegno e sacrifici della comunità.

Il tutto perché, abbagliati anche dal verbo leghista, abbiamo pensato che noi si fosse un’anima sola con altre città e con la Regione, e quindi che le nostre doti e i nostri meriti fossero un patrimonio comune della gente di Lombardia.

Fiducia e amore sono stati invece traditi: infatti ben poco l’istituzione regionale ci ha dato di quanto spettava a un territorio che era una vera locomotiva sino a ridurlo a un tender per il carbone. Certamente Milano ha voluto due governatori leghisti e poi, nei governi di Centrodestra, ministri di autentico rilievo, come era però già accaduto con Roma durante la Prima Repubblica.

Per il resto nulla a causa di un altro grande sonno, quello dei berlusconiani, per i quali il Varesotto è stato solo un serbatoio di voti. La nostra gente a marzo però ha dato segnali importanti rispedendo a casa veri ras del consenso.

Proprio nel cuore dell’estate, in un momento di vera pausa, gradita anche dopo la sbornia calcistica, il cronista, apartitico per vecchia scelta e con simpatia per la prima e vera forma di comunismo, quella cristiana, sente il dovere di ricordare ai nostri politici regionali, tutti, nessuno escluso, la necessità improcrastinabile di una attenzione vera ai problemi di Varese, in primis l’ospedale che nella sua decadenza programmata da dilettanti della riforma sanitaria, coinvolge pure l’Università, altro grande patrimonio cittadino.

Il più attento dovrà essere il neogovernatore e nostro ex sindaco, onesto e preparato come pochi: come tale deve difendere anche un altro patrimonio, quello personale. La riforma sanitaria non è una teoria affascinante, ma un dovere assoluto in termini di efficienza, di assistenza , di sensibilità sociale, di vera cura della salute pubblica. Le malattie e i ricoveri non si combattono con i diktat a una classe di dipendenti di rara preparazione come l’intero corpo sanitario o ubbidendo ciecamente agli uomini romani delle cifre, che tolgono miliardi alla sanità magari per fare i progressisti in altri settori non vitali.

Milano è in ogni caso in questa occasione peggio di Roma dove hanno già sconquassato la giustizia: la gente è furibonda a volte con le decisioni della magistratura, ma dimentica che i giudici applicano le leggi fatte dai deputati.

L’applicazione della riforma sanitaria oggi ha tolto circa 500 posti letto al “ Circolo”: mai dire mai e allora se questa carenza a qualcuno dovesse costare caro in termini di salute e vita chissà se dormiranno tranquilli i “legislatori”. Già oggi è tardi perché essi convochino i medici e chiedano loro spiegazioni e proposte e non vadano invece di persona e non ufficialmente negli ospedali dove le bufere dei ritardi e delle inadeguatezze imperversano.

Capiranno perché Varese ha aperto le finestre e cambiato aria.

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