Cosa capita a essere indipendenti (perché le persone indipendenti esistono: non ci crederete, ma esistono). Ecco una storiella recente. Il presidente dell’Inps Tito Boeri fu nominato alla carica dal governo Renzi, ciò che peraltro non gl’impedì d’assumere posizioni contrarie a quelle del presidente del Consiglio d’allora. Ne nacquero discussioni, seguì il gelo tra i due. Cambiato l’esecutivo, è rimasta intatta l’autonomia di Boeri. Che però agli occhi del nuovo potere gialloverde appare macchiato dall’indicazione (dall’indicatore) al ruolo. Salvini l’ha invitato a levarsi di torno al più presto. E Di Maio, messo in ambasce dal malaccorto decreto dignità, ha adombrato un complotto ai suoi danni che Boeri e/o i suoi collaboratori avrebbero alimentato con numeri fasulli (“privi di scientificità” secondo il ministro dell’Economia Tria).
Ma la tesi d’una “manina” sabotatrice del “dl” non sta in piedi. La documentazione dello scambio di mail tra Ragioneria dello Stato e Inps pubblicata in anteprima dalla Stampa dimostra che tutto l’iter del provvedimento è proceduto con linearità, nessuno ha infilato in extremis cifre di prevedibili disoccupati nel testo legislativo, Di Maio era a conoscenza d’ogni dettaglio della relazione di Boeri ben prima che fosse di pubblico dominio. Semplicemente è accaduto che Boeri ha atteso con professionalità al suo compito, e che Di Maio -trovatosi in panne per gl’imprevisti/negativi effetti d’un provvedimento di nobile intento- ha cercato di corsa il capro espiatorio. Non potendolo trovare nel ministro dell’Economia e nei commis che l’affiancano, ha virato verso il presidente dell’Inps.
Sicché un pezzo di Stato s’è contrapposto a un altro pezzo di Stato, con imbarazzo istituzionale e sorpresa popolare. Una prova ulteriore di dilettantismo pentastellato, accolto in silenzio dalla Lega, peraltro ben sapendo che il decreto di cui si parla non porterà alcun miglioramento (e semmai il contrario) al mercato occupazionale, come sostenuto da Confindustria. Ma se questo è il danno materiale di cui prenderemo presto concreta nota, ce n’è uno morale peggiore. Ovvero il ripudio delle competenze, la delegittimazione della macchina amministrativa, l’attribuire malizia politica a chiunque esprima nel merito d’una scelta opinioni diverse dalle proprie.
Nello specifico, poi, Boeri non ha dato un parere per il gusto di darlo. Era obbligato all’invio d’una previsione tecnica al governo che gliel’aveva chiesta a proposito degli effetti del citato “dl”. Ha insomma compiuto il suo dovere, e per questo s’è trovato sotto processo e sollecitato a dimettersi. L’”avvocato del popolo italiano” che siede a Palazzo Chigi dovrebbe prendersi a cuore la causa di Boeri, difenderne l’autonomia, richiamare chi s’è permesso di minarla. Ma naturalmente sta zitto. Sono le arringhe che gli riescono meglio, quelle silenziose. Pure al prezzo d’essere considerate un boomerang.
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