Chi non ha immaginato, almeno una volta, di avere il posto sicuro subito, senza dover aspettare e poi aspettare e poi ancora aspettare, mettendosi in coda in file interminabili, senza mai vedere uno squarcio d’azzurro davanti. Non trovare lavoro è terribile e essere licenziati senza giusta causa è ancora peggio. Il lavoro è la chiave di lettura della vita, per questo va insegnato, accolto, fatto amare, anche quando sembra difficile, impossibile, introvabile. Non demordere mai è il punto, bisogna avere fiducia sempre, anche quando ci si rende conto che alle buone parole non seguono i buoni fatti, quando quella gente di cui ti fidi si comporta male, fa finta di niente, lasciandoti in preda alle delusioni.
Trovare lavoro non è mai stato facile, neppure quando i tempi erano quelli delle vacche grasse, quando sarebbe bastata una presentazione ufficiale per conquistare il mondo. Ogni conquista presuppone fatica, impegno, determinazione, consapevolezza, richiede di andare oltre le convinzioni personali, di mettersi in gioco senza pregiudizi, di saper accettare anche quello che non corrisponde alle idealità.
C’è stato un momento in cui s’immaginava che sarebbe bastato avere un diploma o una laurea per poter accedere ai piani alti, per non sporcarsi le mani, per poter concorrere alla dominanza, allo stipendio grasso, insomma il lavoro è sempre stato commisurato a varie forme di volontà, ma non è mai stato presentato e insegnato per quello che realmente è e cioè l’opportunità di poter dare un volto ai bisogni e alle necessità, la vera fonte della moralità umana. Nella nostra storia personale non c’è mai stata un’attenzione cosciente di cosa fosse il lavoro, di quali meccanismi mettesse in moto, di quali ricchezze vere e profonde fosse promotore, in moltissimi casi è stato presentato come una garanzia elitaria, la possibilità di dimostrare il proprio valore, è diventato una sorta di parametro per dimostrare quanto fossimo bravi e intelligenti. In realtà la bravura l’abbiamo scoperta molto dopo, lavorando tutti i giorni con impegno, quando altri ce l’hanno fatta conoscere, dimostrandoci sensibilità e attenzione.
Anche nei periodi di vacche grasse nessuno ha mai regalato niente, tutto ha avuto un prezzo, a volte drammatico, quando la coerenza non veniva riconosciuta e si era costretti a subire una miriade di torti, quando i furbi godevano della poltrona privilegiata e gli altri dovevano accontentarsi di fare il proprio dovere sempre, anche quando avrebbero voluto sputare in faccia la realtà a chi trattava guardando dall’altra parte. Non c’è mai stata una guida attiva alla gestione del mondo del lavoro, un guida che avesse il dato umanitario come collante essenziale, in molti casi contavano il differenziale politico e quello sindacale, tutto gravitava intorno alla lotta di classe, alle conquiste contro lo strapotere dei padroni.
L’immagine umana, morale, felice del lavoro non è mai stata presa nella giusta considerazione, chi faceva il proprio dovere non era per nulla diverso da chi non lo faceva, contribuendo a destabilizzare il consolidamento e il potenziamento della forza produttiva. Non si è mai capito bene chi fossero i bravi e chi invece i cattivi, chi lavorasse con impegno e chi facesse finta di lavorare, chi sapeva esattamente che cosa stesse facendo e chi invece faceva le cose tanto per farle, come se il tempo per il lavoro fosse una sorta di maledizione. Il lavoro nella sua immagine educativa e formativa non ha quasi mai incontrato spazi d’integrazione anzi, si è spesso scontrato con chi lo usava come materia scientifica per distribuire sfiducia e incertezza.
Il lavoro è sempre stato banco di prova, ha sempre richiesto abnegazione, fatica, aderenza, coscienza e un briciolo di umanesimo con cui condire statuti e costituzioni, regole e norme, articoli e imposizioni, mediando tra l’arroganza del padrone e la remissività coatta del salariato. Flessibilità, mobilità, adattabilità, hanno correlato da sempre la vita delle persone, anche in tempi non sospetti, quando le classi sociali facevano la differenza e il lavoro ne diventava il marchio di fabbrica. Nessuno ha mai avuto subito il lavoro desiderato, l’avvicinamento è sempre stato difficile, irto di insidie, di frustrazioni, di ostacoli da superare, nulla è mai stato dato per nulla, per ogni conquista c’è sempre stato un impegno adeguato, una modalità da adottare, una consapevolezza da esercitare, le difficoltà sono sempre state il banco di prova eccellente per mettere a punto la giusta disponibilità, per capire e far capire che non si fa nulla per caso e che tutto concorre al benessere individuale e sociale.
Non sempre chi avrebbe dovuto farlo amare lo ha fatto anzi, in molti casi ha fatto di tutto per farlo odiare. Saper stabilire un giusto rapporto con il lavoro è fondamentale per farlo crescere, per dargli la dignità giusta, per farlo vivere e apprezzare in un società a tratti troppo disinvolta per imparare a crescere e sperimentare in modo attento e proficuo, senza cadere nella tentazione di una disparità che non serve a nessuno, soprattutto a chi ha bisogno di dare un volto e una storia alla propria vita.
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