Nell’afa di un pomeriggio mi rifugio sotto il pergolato di un bar a bere un chinotto. L’ho riscoperta da poco questa bevanda e mi piace: ha il sapore della mia infanzia. Attorno a me pensionati che giocano a carte. Tra una partita e l’altra, si contendono la verità sul fatto del giorno. La polemica è aspra, le voci si accavallano.
“Bisogna aiutarli a casa loro!” – urla sprezzante un omone di mezza età. Il diverbio si fa sempre più acerbo. Mi avvicino a loro e chiedo se posso partecipare alla loro polemica. Diffidenti, ma cortesi, mi invitano a mettermi vicino.
Ascolto il loro frasario infarcito di mezze verità, di ipocrisia, di panzane. Ad un certo punto, trepido, li esorto ad ascoltarmi: ”Ho udito la vostra discussione e, a parte certe montature, avete detto delle cose condivisibili. Se mi permettete, vorrei portare il mio aiuto alle vostre controversie. Vi chiedo la cortesia, però, di ascoltarmi e di pormi domande senza accavallare le voci: lasciate fare questo ai politici in tv!”
Si guardano negli occhi. Uno, un uomo sulla sessantina, acconsente col capo. Un altro si toglie una felpa perché gronda sudore. Un terzo si siede appoggiando il mento sulla spalliera di una seggiola per predisporsi, attento. Prendo la lavagnetta su cui i sodali sono soliti segnare i punti del gioco, afferro un gessetto e abbozzo sulla lavagna nera la sagoma dell’Africa. Chiedo: “Chi mi sa indicare dov’è la Libia, da dove partono i barconi?” A fatica, il più alto di tutti indica il luogo esatto.
“Vedete – continuo io – a occidente della Libia ci sono tre stati, il Marocco, l’Algeria e la Tunisia, che vivono una relativa calma. A oriente, in Egitto, c’è una traballante democrazia guidata da un mezzo dittatore. Sapete perché quelli che voi chiamati “negher” s’imbarcano in Libia per approdare da noi? Perché in Libia c’è uno scontro di tutti contro tutti e non si sa chi comandi. Questa guerra è stata causata dalla maledetta guerra contro Gheddafi”.
“Sì – m’interrompe il più inviperito di tutti – ma da noi arrivano giovani neri robusti che non hanno voglia di non fare un c…”
“Hai in parte ragione: sì, i neri provengono dal Sudan del Sud a maggioranza cristiana dove è in corso una guerra civile che ha provocato più di trecentomila morti e milioni di persone in fuga. Altri provengono dal Sudan settentrionale dove un dittatore ha dichiarato di sterminare il popolo Nuba e altre etnie. Vedete, questo è il Sudan: era colonia inglese. Il sottosuolo è ricco di petrolio, esportano canna da zucchero, banane, agrumi, ma la popolazione è poverissima. Altri provengono dal Centro Africa, guardate, si trova qui: a ovest del Sudan, era colonia francese. Dal sottosuolo si estraggono diamanti (quelli che vanno a rimpinzare i mercati di Anversa e di Amsterdam!). Tutti i paesi in guerra hanno un forte debito con l’estero che viene speso per l’acquisto di armi che noi occidentali vendiamo loro”.
“Una ragione in più per non aiutarli …” – dichiara l’omone grondante sudore.
“Gli aiuti dell’ONU, dell’Europa, delle organizzazioni non governative sono notevoli. Si parla di un “piano Marshall” – sapete cos’è? – di 4 miliardi di euro, ma occorre che anche le multinazionali, le grandi imprese vadano ad investire in quei paesi. Recentemente l’Europa ha creato un “fondo speciale” per l’Africa di 500 milioni di euro: Germania, Italia e Paesi Bassi sono i paesi europei che maggiormente contribuiscono al fondo d’aiuto comune. L’Ungheria, paese che non vuole accogliere né profughi né migranti, contribuisce con meno di 10 milioni di euro, mentre l’Italia partecipa a questo fondo speciale con quasi 30 milioni! A questi si aggiungono gli ospedali, i dispensari, le scuole, gli orfanatrofi, i centri sociali aperti dai nostri missionari che sopravvivono con le donazioni di associazioni di volontariato e di privati”.
“Sì, ma qui a Varese giungono anche etiopi ed eritrei…”
“Vi dò una buona notizia: l’Eritrea, che da trent’anni era retta da un oppressivo regime in guerra con l’Etiopia, proprio in questi giorni ha firmato una dichiarazione congiunta per porre fine a una pace con il paese confinante. Ma nel Corno d’Africa (vedi, questa penisola che si affaccia sul mar Rosso e sul golfo di Aden: è qui!) si trova pure la Somalia, che, secondo l’ONU, sta vivendo la peggior crisi alimentare degli ultimi cinquant’anni, carestia che si sta espandendo anche in Etiopia, nel Sudan del Sud, nel nord del Kenya e attorno al lago Ciad, che pressappoco si trova qui! A questo aggiungete le catastrofi provocate dai cambiamenti climatici. E se questo non bastasse, sappiate che nel Ciad (qui, a ovest del Sudan) e nel Mali (pressappoco qui, a sud dell’Algeria), gli jidaisti rimasti tentano d’instaurare un califfato”.
“Colpa loro: con tutti i beni che hanno, non lavorano: i fan ‘na gota!”
“ Anche questo è solo in parte vero. La colpa non è tutta loro. L’Europa, che ha creato sue colonie in gran parte di quelle terre, le ha sfruttate, ha ridotto in schiavitù quelle genti, ne ha spremuto le forze, poi se n’è andata, senza preoccuparsi dell’avvenire di quelle terre. Aveva portato laggiù la Bibbia e la civiltà occidentale. Poi è fuggita, talvolta inseguita dalle forze ribelli al governo, portandosi dietro ricchezze incommensurabili. Ha lasciato sul posto la terra disastrata. Quei popoli sono tutti sottomessi, direttamente o indirettamente, all’arretratezza, al sottosviluppo e noi guardiamo a loro con l’ottica riduttrice del ritardo, del primitivo, della pigrizia. L’esodo dall’Africa è anche il fallimento delle politiche di sviluppo dell’Europa e di tutto l’Occidente. Se vogliamo sviluppare l’Africa, dobbiamo rafforzare la cooperazione internazionale: non basta accogliere, che è la prima necessità. Occorre che l’albero singolo dell’immigrato singolo che arriva sulle nostre coste non possa nascondere la foresta dei problemi che lascia a casa”.
I presenti mi guardano non so se per pietà, per riguardo o per sprezzo.
Interviene il più coraggioso: “Non facciamola lunga e non buttiamola sul sentimento. Devono capire che da noi non c’è posto per loro, hanno un’altra mentalità. E poi “Prima noi, e poi loro!”
“Vede, lei crede che quei povericristi abbandonino il loro villaggio, i loro genitori o le loro mogli e figli, affrontino la fatica di un viaggio a piedi o su sgangherati camion, paghino i trafficanti, affrontino le tempeste di sabbia o la calura del deserto per arrivare in Libia, finire in un centro di raccolta, saldino il pizzo con ignobili scafisti per giungere in Europa e per godersi la pacchia o farsi una crociera nel Mediterraneo? No, scappano dalla guerra, dalla fame e sono risoluti a farcela a tutti i costi. Non sono smidollati… Secoli dopo l’esperienza storica tragica sulle navi dei negrieri dirette in America, gli africani sono costretti a lasciare il continente e quando lei dice: ”Prima noi, poi loro” fa una graduatoria tra essere umani. Al contrario siamo tutti uguali, anche se loro e noi non abbiamo avuto lo stesso passato, avremo lo stesso futuro!”
Lasciando la baldanzosa compagnia, rientrando a casa, pensavo a come si sia indebolito lo spirito critico, a come fronteggiare la complessità dei problemi sia disarmante. Non vorrei che sullo scoglio delle migrazioni si stia avventurando nelle acque infide dell’ignoranza il naufragio dell’Europa.
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