Verrà presentato venerdì 13 luglio, alle ore 21, in Galleria Ghiggini, via Albuzzi, a Varese, il nuovo libro di Carlo Zanzi. Titolo: ‘Chi si ferma è perduto’. Saranno presenti, con l’autore, Alessandra Priulla (docente di educazione fisica), Mariateresa Parente (atleta) e Giuseppe Gazzotti (coordinatore dei docenti di educazione fisica e allenatore federale di sci nordico). Sarà possibile anche visitare la mostra di Gabriela Butti, ‘Lo spirito della foresta’.
‘Chi si ferma è perduto’ è un libro diviso in due parti. La prima è dedicata principalmente agli oltre 3000 alunni che Zanzi, docente di educazione fisica, ha incontrato nelle scuole dove ha insegnato per 43 anni, 34 dei quali alla scuola media Vidoletti di Masnago. La seconda parte, invece, è dedicata a tutti gli sportivi, principalmente a coloro che fanno movimento per la salute, a qualsiasi età, soprattutto all’aria aperta, sfruttando la nostra terra prealpina, un privilegio per i varesini. Carlo Zanzi, classe 1956, è sportivo da sempre, dedica un’ora al giorno all’attività motoria, soprattutto bicicletta, corsa, sci nordico e skiroll.
Proponiamo qui alcune pagine della prima parte del volume, quella dedicata agli alunni del prof.
Cari ragazzi
Cari ragazzi, dopo più di quarant’anni di lavoro vado in pensione. Ho pensato di lasciarvi queste poche pagine. Magari non le leggerete adesso, magari le sfoglierete fra qualche anno, i libri hanno il vantaggio di non ammuffire. Stanno lì quieti e poi possono essere letti, quando ne abbiamo voglia.
Vado in pensione non proprio con entusiasmo. Mi pare di avere ancora qualcosa da dare alle giovani generazioni. Soprattutto sento dentro il grande valore dell’esperienza. I tanti anni di lavoro in palestra mi hanno permesso di raggiungere una metodologia didattica credo appropriata, ottengo con voi risultati migliori in meno tempo e con meno rischi rispetto al passato. E ciò è dato proprio dall’impegno di anni e anni. Ogni stagione un piccolo ritocco, un lieve aggiustamento, qualche errore didattico in meno e così si migliora. E anche voi mi avete aiutato in questo. Ma del resto è giusto così: ho fatto il mio tempo. Appendo il fischietto al chiodo.
Una grande fortuna
Ho avuto una grande fortuna: poter praticare una professione che mi ha accompagnato con soddisfazione per più di quattro decenni. È molto. Finisco la mia carriera in piedi, cioè ancora con entusiasmo, eseguendo gli esercizi con voi, in buona forma, senza chili di troppo, dimostrando vitalità e convinzione per ciò che vi dico. Credo allo sport e alle sue potenzialità. Ho avuto la grande fortuna di una buona salute e di poter insegnare per oltre trent’anni in una scuola a un chilometro da casa, una scuola con ottime strutture, una palestra spaziosa, impianti sportivi anche all’esterno (anche se ora un po’ usurati). Più di così.
Ma in principio non è stato facile. Non dovrete scoraggiarvi se all’inizio del vostro lavoro troverete delle difficoltà. Anche per me è stata così. Un conto sono le prospettive, i desideri, i sogni, un conto è la realtà. Bisogna fare esperienza, avere pazienza, imparare dagli errori (inevitabili), ogni esperienza fondamentale ha la sua componente di fatica..
Una lunga carriera
Ho cominciato ad insegnare quando studiavo all’ISEF di Milano, per diventare prof di ginnastica. Le prime supplenze nell’anno scolastico 1975-1976. Ero appena uscito dal Liceo classico ‘Cairoli’ di Varese, avevo diciannove anni e accettai la supplenza di una settimana proprio nel mio Liceo classico. Poi un’altra settimana alla scuola media di Luino. Della settimana al Classico ricordo solo una grande sgridata al figlio del prof. Viotto, che non voleva riporre il pallone da basket alla fine della lezione. Della settimana a Luino ricordo il gran freddo: era dicembre o gennaio, andavo a Luino in motorino, nel gelo della Valganna, strade ghiacciate. Ci mettevo due o tre ore a scaldarmi.
L’anno successivo, 1976-1977, ho avuto una supplenza annuale di dodici ore alla scuola media ‘Ferrarin’ di Venegono Inferiore. Lì ho cominciato a sperimentare la difficoltà di rapportarsi con ragazzi dagli undici ai quattordici anni, la vostra età. Ma anche gli aspetti positivi.
Molto dura è stata l’esperienza, l’anno successivo, 1977-1978, con otto ore di supplenza annuale all’IPSIA di Saronno, ragazzi delle superiori, poco più giovani di me: lì ho pensato che fare il prof non era il mio mestiere. Ma non mi sono demoralizzato e ho accumulato esperienza. Dopo l’anno di militare, ho cominciato ad insegnare a tempo pieno, per ciqnue anni alla scuola media ‘Benigno Bossi’ di Arcisate, dall’anno scolastico 1979-1980 al 1983-1984.
Qui mi sono davvero fatto le ossa. Spesso dovevo percorrere un lungo tratto di strada con gli alunni per arrivare alla palestra, alcuni ragazzi erano davvero problematici, un alunno mi mise addirittura le mani addosso. Momenti non facili, anch’io ho commesso i miei errori di inesperienza, sono andato avanti. In quegli anni ho anche voluto sperimentare il ruolo di docente di sostegno, il mio orario erano dodici ore di educazione fisica e sei ore come insegnante di sostegno. Non ero stato obbligato a farlo per mantenere il posto. No, era il mio desiderio di nuove avventure professionali.
Quando, nell’anno scolastico 1984-1985, passato di ruolo, sono arrivato per la prima volta in questa scuola, alla mitica Vidoletti, una certa esperienza già l’avevo alle spalle e ho continuato nel mio cammino professionale.
Da allora questa è sempre stata la mia scuola, a parte tre anni che avevo, oltre alla Vidoletti, alcune ore anche alla media di Casciago. Ultimo in graduatoria, essendo il più giovane, miracolosamente riuscivo a restare in questa scuola perché di volta in volta i miei colleghi cambiavano sede, chi alla Dante, chi alle superiori. Così io non perdevo il posto di via Manin. E qui ho fatto un’esperienza davvero bella: appassionarmi di anno in anno sempre di più al mio lavoro, tanto che oggi, dopo 42 anni di insegnamento, questo ultimo anno scolastico è stato forse il più bello, comunque certamente non il più pesante. Non me ne vado scappando via. Me ne vado con rammarico ma desidero lasciare il posto ad un giovane.
Ammetto che in questi ultimi mesi, soprattutto eseguendo con voi gli esercizi con la musica, più di una volta mi sono commosso, osservandovi e ripensando a tutto il mio cammino di prof.
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