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Parole

SESSISMO. O NO

MARGHERITA GIROMINI - 29/06/2018

La sindaca femminista Charlotte Elizabeth Whitton

La sindaca femminista Charlotte Elizabeth Whitton

Se c’è una cosa che una donna in politica dovrebbe evitare è rispondere ad attacchi sul proprio operato sostenendo di essere nel mirino dei detrattori in quanto appartenente al genere femminile. A meno che, qualche volta capita, la donna in questione non sia davvero certa di subire una discriminazione sessista.

Gli attacchi maschilisti non sono rari ma gridare al lupo in modo strumentale è una forma di difesa che suona puerile e irritante alle orecchie delle donne che credono nel valore della competenza e della preparazione.

“Mi attaccano perché sono donna”. Lo ha detto, a sproposito, anche la Sindaca della capitale quando si è ritrovata al centro dell’ennesima bufera, questa volta per la vicenda dello Stadio della Roma.

L’accusa di sessismo è una cosa seria mentre non lo è la ricerca occasionale della solidarietà femminile nei momenti difficili della gestione di un incarico politico che si presume assunto con la piena consapevolezza dei rischi che avrebbe potuto comportare.

Quando si è criticate per il proprio operato sarebbe opportuno rispondere nel merito. Altrimenti lagnarsi con frasi fatte del tipo “mi attaccano perché sono donna”, ha lo stesso valore, e sapore, del “non mi dovreste criticare perché sono una signora”.

Nella valutazione della crisi quasi permanente della gestione del sistema romano il sessismo c’entra poco.

Ricorriamo alla definizione di sessismo che ci viene dalla Treccani: “termine coniato nell’ambito dei movimenti femministi degli anni Sessanta del Novecento per indicare l’atteggiamento di chi (uomo o donna) tende a giustificare, promuovere o difendere l’idea dell’inferiorità del sesso femminile rispetto a quello maschile e la conseguente discriminazione operata nei confronti delle donne in campo sociopolitico, culturale, professionale, o semplicemente interpersonale; anche, con significato più generale, tendenza a discriminare qualcuno in base al sesso di appartenenza”.

Proporsi come vittima del sessismo in un movimento che ha da poco varato il governo più maschile della storia degli ultimi decenni, suona perlomeno ingenuo.

Sorge il dubbio, legittimo, che possa trattarsi di una furbizia studiata per allontanare l’immagine di una sindaca debole ed etero diretta. Un atteggiamento da vittima del sessismo prova a raggiungere un doppio effetto: dare l’immagine di una donna schiacciata dal maschilismo del movimento che la esprime, storicamente non esattamente favorevole alle donne, oppure, ad uso dell’opinione pubblica, fornire un’immagine di sé emotiva, intima, più vicina al sentire comune della “gente”.

Chiariamo: nelle numerose accuse di inefficienza che vengono rivolte da due anni alla Sindaca penta stellata non sembrano allignare specifiche allusioni al suo essere donna. Si ritrova, al contrario, molto di quello che lei, come donna in politica e come prima cittadina, ha fatto o non ha fatto nell’esercizio delle sue funzioni.

Eppure la Raggi, giovane ma non sprovveduta, dovrebbe sapere che le donne, storicamente, quando assumono ruoli istituzionali o di responsabilità, pagano un prezzo più alto degli uomini.

In ogni caso gli “scivoloni” che le sono stati rimproverati sono stati commessi tutti.

Per attenersi alla cronaca più recente, guardiamo alla brutta storia della mozione approvata dal Consiglio comunale capitolino durante l’assenza della Sindaca, per contemporanea partecipazione al salotto di Bruno Vespa: l’intitolazione di una via di Roma a Giorgio Almirante, fascista della prima e dell’ultima ora. In prima battuta la Sindaca afferma che il Consiglio comunale è sovrano come il Parlamento, e se così ha deciso, così è. Poco dopo siamo alla retromarcia: la Sindaca confessa di non essere stata informata di ciò che il consiglio comunale si stava apprestando a discutere quella sera. Aggiungendo di essere persona da sempre antifascista. Decisione finale: avrebbe proposto, cosa che poi ha fatto, l’annullamento della delibera.

Corre l’obbligo infine di segnalare che la Sindaca in questione non si è spesa troppo a favore delle donne, anzi. Come dimostra la plateale vicenda legata alla vendita della storica Casa Internazionale delle Donne, da lei condotta come una normale questione di risparmio della spesa pubblica.

Concludendo: sosteneva Charlotte Elizabeth Whitton, battagliera sindaca di Ottawa in Canada negli anni Cinquanta e Sessanta, nonché femminista convinta, che “le donne devono fare qualunque cosa due volte meglio degli uomini, per essere giudicate brave la metà”. Però resta inconfutabile il principio che ogni donna, come ogni uomo, deve, prima di ogni altra azione, mostrarsi sempre pronto ad assumersi le proprie responsabilità.

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