Si calcola che dall’inizio della rivoluzione industriale sono stati immessi nell’atmosfera 365 miliardi di tonnellate di carbonio, bruciando cartone, petrolio e gas. Si aggiungano gli effetti perversi della deforestazione, dell’allevamento, delle monoculture.
Infrastrutture, tecniche di produzione e stili di vita esercitano un forte impatto sul clima. Si rivolga l’attenzione per esempio alla scelta di processi industriali energivori, alla diffusione di catene produttive globali. Distinte sono le responsabilità di Stati e imprese, opposte o complementari nella lotta contro il riscaldamento climatico. Purtroppo la teoria economica vigente risponde al criterio di ottimizzare il rendimento degli investimenti degli azionisti, non rispettando neppure la riserva formulata da Milton Friedman “in conformità colle regole fondamentali della società, quelle iscritte nella legge, come quelle iscritte nelle usanze e nell’etica.
Gli stessi Trattati delle Nazioni Unite non menzionano le imprese come soggetti di diritto internazionale (solo gli Stati sono chiamati in campo). In occasione della COP 21 di Parigi 195 Stati si sono accordati sull’obiettivo ambizioso di limitare il surriscaldamento climatico a 2 ° C, con l’apprezzamento per il settore privato per l’impegno profuso e l’invito a intensificare i suoi sforzi. Però solo agli Stati spetta il compito di dettare leggi che impongano alle imprese attività e metodi di produzione a basso impatto ambientale.
Si tratta per ora di iniziative dipendenti dalle convinzioni etiche di chi dirige l’impresa in un’ottica filantropica o di azioni che contribuiscano a migliorare la reputazione delle imprese, ad agevolare la selezione del personale e a fidelizzare la clientela a una marca. Si sviluppano in parallelo anche iniziative nel campo educativo, culturale o della salute; ma le imprese continuano a svolgere il business as usual.
Dalla creazione della Convenzione quadro nel 1992 le emissioni di gas a effetto serra sono aumentate di circa il 57%, nonostante una presunta presa di coscienza. Questo alla luce delle sovvenzioni pubbliche e autorizzazioni amministrative accordate di recente a favore di nuovi progetti di estrazione di energia fossile.
Come conciliare allora impegni unilaterali ed obblighi costosi riguardanti gli obiettivi globali? L’arbitrato tra Stati e investitori permette ormai alle imprese di intentare una causa contro le politiche degli Stati. Il Patto mondiale (Global compact) elaborato da parte di Kofi Annan, segretario generale dell’Onu, è stato criticato per il suo carattere non obbligatorio: interviene la pertinenza dei Trattati dell’Onu solo se le norme nazionali sono incomplete o mancanti. Nel 2008 l’Onu ha adottato il Rapporto Ruggie, per cui l’impresa multinazionale oramai è riconosciuta come attore politico nel territorio dove opera. È una prospettiva fondata sui diritti umani condivisa dalla Oil (Organizzazione internazionale del lavoro), dalla Commissione europea e dall’Ocse, che nel 2001 ha dato forma alle Linee guida per le imprese multinazionali.
Si apre così la via per fare riconoscere la responsabilità civile e penale delle imprese multinazionali e dei loro dirigenti nell’ambito del diritto internazionale. Nel settembre del 2006 la Corte penale internazionale ha deciso di occuparsi dei crimini economici. Solo che il clima non è mai menzionato esplicitamente. Negli Stati Uniti si sono verificate pressioni crescenti per indurre le autorità giudiziarie e l’Authority incaricata dei mercati finanziari a indagare Exxon e dirigenti per frode.
Il quadro giuridico purtroppo risulta ispirato a una concezione tecnofila del progresso, per cui le azioni giudiziarie restano ancora molto fragili.
Le risorse di energia fossile in corso di estrazione sono valutate sufficienti per raggiungere i limiti dei 2° C di riscaldamento globale rispetto all’inizio dell’era industriale. Ecco perché bisogna obbligare le imprese a cambiare i paradigmi per il futuro. Una politica di riforme a piccoli passi non basta a scongiurare la catastrofe climatica che si affaccia all’orizzonte. Obiettivo decisivo è quello di tagliare tutte le risorse finanziarie al settore delle energie fossili e di fare evolvere un modello economico e sociale sinora basato su due secoli di estrazione. Bisogna promuovere un movimento più ampio di partecipazione civica e di coinvolgimento degli azionisti, contemperando logiche manageriali di gestione del rischio e logiche civiche di rifondazione delle attività. C’è bisogno di innovazioni giuridiche profonde.
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