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Garibalderie

MEMORIA D’EROI

ROBERTO GERVASINI - 22/06/2018

piaveTra il 15 ed il 26 giugno del 1918 inizia drammaticamente l’aumento della bolletta del gas per i tedeschi, austriaci e prussiani in testa, “ i Tugnitt”, come venivano chiamati con disprezzo dai patrioti italiani fin dal Risorgimento. La Grande Guerra e la parabola ultracentenaria del Risorgimento finiscono per l’Italia, di fatto, con la Battaglia del solstizio, come la vorrà chiamare Gabriele D’Annunzio, o seconda battaglia del Piave, proprio nel Giugno del 1918.

Dopo un tentativo per arrivare a una resa separata con l’Italia in aprile, ormai allo stremo, privi di vettovaglie, gli austro-ungarici tentarono un nuovo sfondamento, definitivo, dall’Altipiano di Asiago al mare. Si ricorse anche al gas, per gasare i fanti italiani. Sempre col gas faranno di peggio in seguito, preparando ben bene la guerra e perdendola sistematicamente di nuovo. Dopo la dura lezione di Caporetto, l’esercito italiano si era ben riorganizzato e ripreso nel morale e il nuovo comando del generale Armando Diaz si premurò di mantenere alle spalle delle linee di difesa sul Piave numerose divisioni.

Gli otto giorni di lotta, anche all’arma bianca, non furono una scaramuccia. Al termine delle battaglie gli italiani, con gli alleati, contarono perdite per oltre 85.000 uomini (6111 morti). Gli imperiali persero oltre 118.000 uomini (11643 morti). L’acqua, una volta tanto, diede una mano agli italiani. Forti e copiose piogge innalzarono di molto il livello del Piave e molti imperiali morirono affogati nella ritirata oltre il fiume. Le piogge resero ben più arduo l’attacco degli austro ungarici sul delta. Lo sfondamento parve aver inizialmente successo. L’intervento dell’artiglieria e soprattutto della nascente arma aeronautica fermarono l’avanzata.

Cadde sul Montello in quei giorni l’asso indimenticato dell’aeronautica italiana, Francesco Baracca. Vennero bombardati dall’alto tutti i numerosi ponti sul Piave rallentando e impedendo così il rifornimento di armi e viveri all’esercito imperiale durante l’offensiva. Vennero distrutti interi paesi, Nervesa in testa. Andarono persi per sempre tesori artistici inestimabili come le antiche ville del Montello.

Il giorno cruciale per l’esito della battaglia fu il 19 giugno, secondo molti storici. La cavalleria, il VII Lancieri di Milano, bloccò l’avanzata degli imperiali che avevano sfondato le linee difensive sul Piave a Monastier di Treviso, infliggendo una sconfitta irrimediabile alle truppe imperiali. La carica della cavalleria sabauda, inferiore come sempre di mezzi e anche di uomini, è passata alla storia come “La carica di San Pietro Novello “, mitica, finita con un attacco eroico, disperato, all’arma bianca, alla baionetta, come avevano fatto i garibaldini quasi 70 anni prima.

Poco si ricorda sui media in questi giorni. Questo centenario della fine della Guerra col ritorno di Trento e Trieste all’Italia, pare non scaldi nessuno, soprattutto tra le giovani generazioni. Forse aveva ragione mia zia Giulia, maestra elementare, classe 1888.

Il 4 Novembre di ogni anno piangeva. “Fieou, sa ghemm nunc de fa festa?”. Non c’era nulla da festeggiare in casa Gervasini. Nella grande Guerra il fratello Eligio era risultato disperso sul Carso. Il fratello Angelo era tornato ventenne, cieco, per lo scoppio di una granata. Il fratello Domenico era stato rovinato dalla febbre “ spagnola”. Gli eroi sono anche loro, tra i seicentomila morti, e… due milioni e mezzo di invalidi.

Vabbè, W l’Italia.

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