“E i cristiani, oltre alle loro opere buone, che cosa fanno per risolvere il problema drammatico della migrazione, coniugando accoglienza e rispetto delle regole?” – mi chiede un giovane che incontro quotidianamente sui miei passi.
“Vedi, i cristiani vivono nel mondo e camminano nella storia. Quand’ero giovane come te, i cristiani erano classificati coli torti, baciapile, visi pallidi. Più tardi, quando si parlava di incontro fra cattolici e socialisti, ci fu un Cardinale di Santa Romana Chiesa che definì alcuni credenti “comunistelli da sacrestia”, “pesciolini rossi che nuotano nell’acqua santa”. Ai giorni nostri, Papa Francesco è stato tacciato di essere “cattocomunista”. Perché ti dico questo? Per dimostrarti che lungo l’arco dei tempi ci sono stati profeti che hanno anticipato i segni dei tempi e altri che confondono strutture vecchie con tradizioni vive, la loro pigrizia mentale con il conservatorismo, l’ortodossia con i loro schemi. Il senso del tempo nuovo è che i credenti devono assumersi le responsabilità del tempo che cambia. I credenti hanno il compito di spendere la loro vita per suscitare passi nuovi. È ciò che sono chiamati a svolgere anche ai giorni nostri a proposito del fenomeno epocale delle migrazioni, anche a costo di essere accusati di essere menzogneri da parte di ciarlatani che seminano solo odio. Ecco perché penso che i cristiani non possono solo accontentarsi di rispondere all’ emergenza migratoria, ma devono trovare i modi di testimoniare profeticamente istanze nuove e provocare risposte concrete. Le opzioni politiche possono essere varie e diverse, ma tutte devono rispettare due principi non negoziabili”.
“E quali sarebbero?”
“Il primo riguarda il credente: è la fedeltà al Vangelo. “Ero straniero e voi mi avete accolto”! Prima di ogni calcolo politico, prima di ogni tornaconto elettorale viene l’uomo. L’impegno di ogni cristiano non è mai “contro” qualcuno, ma “per” qualcuno. L’uomo non può essere ridotto a ingranaggio economico o a numero politico. Il migrante, lo straniero, il diverso non può essere catalogato tra i nemici: è persona creata a immagine di Dio. Ai credenti spetta il compito di facilitargli il suo vivere per farsi più umano, per compiere il cammino dell’umanizzazione.
Il secondo principio vale per tutti: è il rispetto della nostra Costituzione che all’articolo 10 stabilisce che lo straniero ha diritto d’asilo e che il nostro ordinamento giuridico si conforma alle norme del diritto internazionale. Dall’antichissimo “diritto di salvataggio” in mare al tanto discusso trattato di Dublino, sempre si proclama che tutti gli esseri umani sono uguali, hanno la stessa dignità, godono dei medesimi diritti fondamentali, hanno un destino comune, abitano la Terra, vivono la medesima condizione del presente. È il principio della solidarietà fondata sulla compassione, la pietà, l’incontro, l’apertura. Valori che sono nati proprio nelle antiche civiltà del Mediterraneo e da qui diffuse in tutto l’Occidente”.
“Che cosa si può fare?”
“Anzitutto prendere atto che le migrazioni sono fenomeni epocali, smisurati che si possono governare solo su base planetaria e assieme a tutti. Finora, sia l’Italia che l’Europa hanno rifiutato di vedere in essi degli eventi che possono essere gestiti positivamente e non solo rifiutati, respinti, esclusi: la “fortezza Europa” cederà sotto i colpi del cinismo di una politica per niente perspicace, sotto la cultura che vede nell’altro un nemico. L’Italia è stata lasciata sola. L’Europa, che non è unita, ma solo unificata da regolamenti, direttive e da una burocrazia senza anima, è divisa tra i paesi del Nord e quelli che si affacciano sul Mediterraneo, tra quelli dell’ovest e quelli dell’est. L’Europa è intervenuta con provvedimenti tamponi nella fase d’emergenza, ma non ha avuto il coraggio di condannare con procedure sanzionatorie quei paesi che si sono rifiutati di accogliere migranti nella percentuale stabilita dalla Commissione. Se l’Europa non adotterà provvedimenti contro questi paesi che violano sistematicamente i principi della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza, che sono alla base dei Trattati europei, essa si dimostrerà ancora più debole, più fragile. All’interno dei diversi paesi, poi, le maggioranze di governo sono gracili o nettamente contrarie ad una maggiore integrazione europea: in Germania i falchi della CSU sbarrano la strada alle proposte della CDU; Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia hanno già dichiarato che non intendono versare un euro in più dopo la Brexit e hanno già bocciato in partenza il piano per una maggiore integrazione europea e la loro giustificazione è sempre la solita: “prima degli altri, noi!”; in Francia l’europeista Macron se la deve vedere con problemi interni. Insomma, derive autoritarie, movimenti populisti e sovranisti frenano l’integrazione europea che, al contrario, è oggi più che mai insopprimibile per sconfiggere le ondate di protezionismo e per regolare le migrazioni.
Anche l’Italia non è indenne da colpe. A parte la prodiga solidarietà arrivata da organizzazioni ecclesiali e laiche – un bell’esempio di servizio all’uomo! – da singoli preti, suore, seminaristi, medici, giovani, marinai, poliziotti, militari, sindaci, tutti i governi si sono dimostrati tiepidi nel gestire con piani precisi i flussi migratori. La politica si è piegata al senso del rifiuto: respingimento, blocchi navali, centri di detenzione in Libia, chiusura dei porti, come se le persone fossero merce da disputa territoriale. Ciò ha prodotto loschi affari, mafia del contrabbando degli esseri umani, corruzione per ottenere la gestione dei centri di accoglienza.
Se, al contrario, si fossero utilizzate le risorse europee, governative e private per stendere un piano comune che, superata l’emergenza, avesse previsto il ricollocamento provvisorio fra tutti i comuni d’Italia, l’inserimento nel mondo del lavoro dei migranti e la loro distribuzione, dopo un corso d’alfabetizzazione, in Europa, in modo particolare per coloro che si ricongiungevano ai parenti, avremmo risolto positivamente un evento che oggi è drammatico. E accanto a questo piano, con la fermezza della legge, avremmo dovuto prevedere il rimpatrio per coloro che delinquono, perseguire severamente i trafficanti di uomini e altrettanto rigidamente coloro che li sfruttano nel lavoro nero.
Si è preferito da parte di alcuni partiti diffondere la cultura del nemico, divulgare dati irreali, gonfiati, accodarsi alla corrente del pregiudizio e dell’ approssimazione, sostituire con slogans beceri principi morali perenni e universali, fondare la propria identità non nel fratello da abbracciare, ma nel nemico da combattere. C’è un partito, qui in Italia, che se non avesse un nemico, non esisterebbe, tanto è superficiale e fatuo il suo programma.
Per ritornare alla domanda iniziale, i cristiani sono chiamati ad andare controcorrente, proprio come i profeti di cui è ricca la storia del nostro Paese: non possono, non devono spegnere la fiamma della speranza soprattutto quando altri cristiani rischiano di soffocarla sotto la cenere di un pigro rifiuto che rifiuta una comunanza di destini per tutti gli uomini. “La speranza ha due figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la denuncia e il coraggio per il cambiamento “- ha scritto Raniero La Valle. Alcuni cristiani si sono rassegnati e non hanno né sdegno né coraggio. Eppure per essere uomini di speranza occorre sentire il dolore del mondo.
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