A due anni dallo sfratto (16 giugno 2016) del centrodestra da Palazzo Estense, bisogna riconoscere, se non si è afflitti da endemica partigianeria, che la nuova giunta di centrosinistra – Pd e Lista civica Varese 2.0 – ha messo molta carne al fuoco: piano stazioni in rampa di lancio, sicurezza stradale e difesa dell’area pedonale del centro; manutenzioni ad alcuni edifici scolastici; recupero in via di definizione dell’area dismessa ex Enel di viale Belforte; multipiano di via Sempione ereditato dal sindaco Fontana ma privo dei finanziamenti necessari per costruirlo; piano sosta ancora molto perfettibile; Nature urbane, ovvero festival del paesaggio alla seconda edizione pur tra molti attriti interni al Palazzo; rinnovata attenzione agli anziani e ai problemi educativi.
In questa sede non intendiamo entrare nel merito dei singoli interventi – lo abbiamo già fatto in altre occasioni e lo faremo di nuovo – ma piuttosto ritornare sul perdurante deficit realizzativo in fatto di manutenzione ordinaria e straordinaria della città. Dato e non concesso che finalmente parta il più volte annunciato piano di rifacimento di strade, marciapiedi e pulizia tombini quale rimedio a un’eredità molto pesante, va altresì detto che esistono altre concrete possibilità per attenuare la sensazione di sciatto e trasandato che molte zone della città, anche centrali, trasmettono. Se è vero come è vero che la qualità si vede nel dettaglio, Varese ha davvero molta strada da fare. Basta, per esempio, soffermarsi sulla trascuratezza endemica che affligge le poche aiuole fiorite esistenti, gli incolti, le erbacce rigogliose tra i cordoli e gli asfalti dei marciapiedi, alcuni ingressi stradali alla città disastrati e così via. Cominciamo dai due ingressi stradali che potrebbero facilmente essere migliorati: la riva sinistra della salita che dalla rotonda dell’Iper sale al cimitero di Belforte andrebbe in parte sfoltita dalle tante acacie infestanti e tenuta a prato raso dopo aver naturalmente rifatto il muro di sostegno ormai del tutto simile a un gruviera e temiamo prossimo allo smottamento con gli attuali chiari di luna metereologici. Stesso discorso se si arriva dalla Valganna dove, superata la rotonda della tangenzialina, si percorre un tratto di strada ammalorata e resa squallida dall’incombente edifico dismesso delle ex cantine Benzi, un manufatto di cui andrebbe controllata la stabilità. Non meno squallide e indecorose sono le aiuole e gli spartitraffico davanti alla stazione Fs di Piazzale Trieste dove rari fiori gialli affiorano tra erbacce alte almeno mezzo metro. È vero che l’area sarà teatro di una prossima grande rivoluzione ma nell’attesa che si fa, si aspettano i topi?
All’aurea regola dell’abbandono non sfuggono neppure le recenti aiuole tra Largo Risorgimento e l’imbocco di via della Brunella sistemate quattro anni fa dall’amministrazione Fontana ma – pare – piantumate con essenze bisognose di molta acqua e dunque di un impianto di irrigazione rimasto però lettera morta. Veniamo agli incolti che altro non sono se non piccoli appezzamenti di terreno libero, di proprietà pubblica o privata, situati tra edifici oppure contigui a piazze, strade, cigli stradali. Grida letteralmente vendetta quello piuttosto ampio che insiste, sotto le Magistrali, a lato dell’ex Caserma dei pompieri di via XXV Aprile. Con cure costanti all’esistente e qualche pianta fiorita si potrebbe avere uno spazio decoroso, una piccola oasi di bello in fregio alle scuole e a una strada frequentatissima. Di esempi di cattiva o nulla manutenzione del verde urbano, minuto e interstiziale, se ne potrebbero fare molti altri sia in centro sia, a maggior ragione, nei quartieri periferici. Insomma Varese, “città giardino” o come preferisce il vicesindaco Daniele Zanzi “città in un giardino”, sta facendo poco o nulla per diventare anche una città decentemente fiorita, dunque meno grigia e opaca di com’è da qualche decennio. E questo alla faccia del florivivaismo presente nel capoluogo. Come se non bastasse uno dei suoi parchi storici più prestigiosi, Villa Recalcati, è chiuso ufficialmente per ragioni di sicurezza. In realtà alla Provincia mancano i fondi per le manutenzioni dopo il fallimento della tanto strombazzata riforma delle Province stesse promossa dal governo Renzi. Forse si potrebbe ovviare con qualche capretta tibetana e con qualche somarello sia negli incolti comunali sia in quelli provinciali. L’arte di arrangiarsi non è del resto la più riconosciuta e praticata delle qualità nazionali?
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