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Opinioni

QUESTO PAESE

GIOIA GENTILE - 15/06/2018

spiegel“Turisti tedeschi a Capri rubano portafoglio a operaio napoletano”: la notizia, diffusa il 2 giugno dall’ANSA, mi ha rallegrato la giornata – nonostante il dispiacere per il malcapitato. Quasi mi ha fatto dimenticare la copertina di Der Spiegel, una pistola poggiata su un piatto di spaghetti per definire gli Italiani. Inoltre, l’operaio derubato stava andando al lavoro: un duro colpo ad un altro stereotipo, quello dei meridionali tutti fannulloni.

Non sopporto i luoghi comuni, siano concettuali o linguistici. Mi infastidiscono soprattutto i secondi, perché, mentre i primi hanno, a volte, un fondamento nella realtà e comunque si possono discutere e confutare, i secondi sono difficili da sradicare.

Negli anni 60/70 era invalso l’uso del cioè come intercalare tra le parole o tra le frasi: serviva a chi non aveva un facile eloquio per prendere tempo e cercare l’espressione migliore. Successivamente fu sostituito da un più raffinato – almeno così doveva sembrare – diciamo, che già nel plurale, quasi maiestatis, poneva l’oratore su un livello più alto. Oggi, poiché anche questo intercalare deve sembrare usurato e plebeo, si è passati al più chic – o radical chic? – come dire.

Un’altra fastidiosissima espressione (la Crusca la definisce “imbarazzante”) è piuttosto che usata come disgiuntiva al posto di o/oppure, mentre il suo significato è avversativo, come sinonimo di anziché, invece di.

Potrei continuare con altri esempi, ma non ho intenzione di tediarvi ulteriormente. Vorrei invece soffermarmi su un altro modo di dire invalso negli ultimi tempi, che sembra un luogo comune della lingua, ma in realtà sottintende, a mio avviso, qualcosa di più profondo: questo Paese.

Sempre più spesso si sentono politici e giornalisti riferirsi così all’Italia. Non il mio Paese, indice di un sentimento di affetto, o il nostro Paese, segno di una condivisione di storia e di valori, e neppure semplicemente il Paese. Ma questo Paese, espressione in cui l’aggettivo, che dovrebbe indicare qualcosa di vicino, in realtà rivela un atteggiamento distaccato e sprezzante, come a voler sottintendere che, se le cose vanno male, è perché gli altri – i miei avversari politici, il popolo ignorante, non so chi altri – non hanno saputo indirizzarle nel verso giusto. Nella migliore delle ipotesi avverto in quelle due parole un compatimento senza speranza.

Come se coloro che le pronunciano venissero da Marte, come se non facessimo tutti parte di questo Paese, e non ne fossimo tutti responsabili, nel bene e nel male.

Credo stia proprio qui, in fondo, l’origine di tutti i nostri problemi, nell’incapacità di ascoltare le ragioni degli altri, nel ritenere di avere la verità in tasca, nella tendenza a polemizzare su qualunque argomento, nel pensare: “Se dipendesse da me, questo condominio, questo quartiere, questa nazionale di calcio (soprattutto), questo Paese sarebbero tutta un’altra cosa”

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