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Il Mohicano

INIZIO D’UNA VITA NUOVA

ROCCO CORDI' - 15/06/2018

kingA parte qualche più o meno lodevole iniziativa editoriale non mi pare che il quinto decennale del “68 abbia ricevuto, almeno finora, una adeguata attenzione. Forse perché viviamo una fase in cui riflettere (sul presente o sul passato) sembra essere diventato un esercizio inutile o forse perché in precedenza di celebrazioni e commemorazioni ve ne sono state anche fin troppe.

Eppure quell’anno merita di essere ricordato come momento in cui si sono addensati avvenimenti che hanno segnato un’epoca. Per comprendere come mai da allora “nulla fu più come prima” non servono certamente le letture semplicistiche o acritiche. Bisogna ritornarci con la mente e, per noi che l’abbiamo vissuto, con il cuore, liberi da condizionamenti e pregiudizi. In Italia quel “movimento” prese corpo ben prima dell’anno fatidico e si prolungò oltre ogni aspettativa investendo profondamente i luoghi di lavoro e di studio, le famiglia e la Chiesa, la politica, l’informazione. Tutto viene rimesso in discussione. I modi di essere, la cultura, le abitudini, i rapporti personali e collettivi, vengono attraversati da una scossa elettrica che tutto scompone e ricompone in forme inedite.

È vero che la distanza dal 1968, sotto ogni punto di vista, è abissale. Tuttavia le parole, le idee, i fatti, di quell’anno si intrecciano con la nostra realtà odierna più di quanto non si possa immaginare. Oggi come allora, pur in situazioni completamente diverse, l’Italia attraversa una crisi il cui sbocco è ancora sconosciuto e tutto da scrivere. Oggi come allora un sommovimento dai contorni indefiniti e per certi versi oscuri fa traballare assetti e soggetti che apparivano solidi, tranquillizzanti e, a tratti, persino insostituibili. Ma la contestazione del “68 per quanto “rivoluzionaria” fosse, era obbligata a fare i conti con la “tenuta” dei soggetti esistenti (dovuta anche alla loro capacità autocritica e “flessibilità” di fronte la “nuovo”). Oggi al contrario è proprio la “tenuta” dei soggetti in campo, siano essi fautori del cambiamento o amanti della conservazione, ad apparire estremamente debole e dunque agente di destabilizzazione.

In questo articolo però più che riassumere la complessità e l’attualità di un evento storico come il Sessantotto vorrei affidarmi alla memoria ricordando emozioni e fatti personali.

Quell’anno noi ragazzi del “49” eravamo diciottenni impegnati chi nel lavoro e chi nello studio, ma ancora non riconosciuti come “maggiorenni”. Privi dunque anche del diritto di voto. Per l’attribuzione della maggiore età a 18 anni si è poi dovuto attendere il 1975 quando l’8 marzo (!) il Parlamento approvò in via definitiva la legge numero 39.

Il mio assillo principale più che dal “movimento” fu segnato dalla imminente prova degli “esami di stato” e, subito dopo, dalla necessità di ricongiungermi con i miei familiari da più di un anno già residenti a Varese.

Ricordo che per la mia generazione, forse l’ultima, gli “esami non finivano mai” segnando il percorso scolastico con una frequenza impressionante. Oltre agli esami di seconda e di quinta elementare, c’era pure il difficile esame di terza media. Nel 1968 ci toccò l’esame di maturità alla vecchia maniera, cioè con prove d’esame scritte e orali in tutte le materie e con l’eventuale “riparazione” a settembre.

Se nei primi due trimestri lo studio e il ripasso avevano assorbito ogni energia le settimane precedenti l’esame erano state al cardiopalma. Anche se non avevo mai perso un anno scolastico la paura di non farcela diventava a tratti paralizzante. E venne il giorno del giudizio. Mi beccai tre materie a settembre, due serie e una solo per fare tris. Ciononostante ero ormai sicuro di farcela. Perciò prima di affrontare il viaggio per Varese mi concessi ancora qualche giorno di mare.

L’assillo per lo studio e gli esami non mi avevano però distratto completamente da eventi la cui frequenza o rilevanza facevano intuire che stava accadendo qualcosa di nuovo e importante. Per me era solo una “percezione” ancora priva di “consapevolezza politica”. La voglia di capire e interrogarsi su quei fatti cominciava però ad occupare un posto importante nella mia mente.

Fin dai primi mesi dell’anno la stampa e i notiziari Rai danno notizie, spesso distorte o unilaterali, delle assemblee e delle occupazioni studentesche di molte facoltà universitarie finalizzate ad affermare un nuovo diritto allo studio e una gestione più democratica e trasparente degli atenei. Poi arriva il “maggio parigino”, con l’occupazione della Sorbona, che ben presto si propagherà in tutta Europa.

Pure nelle fabbriche le lotte operaie, cominciate molti mesi prima per la conquista di migliori condizioni contrattuali e nuovi diritti del lavoro, mettono in discussione il sindacato tradizionale proponendo nuove forme di organizzazione sociale dentro e fuori le fabbriche.

Dentro e fuori i confini nazionali si susseguono altri eventi importanti che contribuiranno in modo preponderante alla mia formazione politica. In Italia l’anno cominciato con un violento terremoto che aveva colpito la valle del Belice in Sicilia (oltre 300 i morti, interi paesi distrutti) si chiude a dicembre nel sangue. Ad Avola (Sicilia) la polizia spara sui braccianti in lotta per ottenere la parità contributiva in tutta la provincia: due morti cinquanta feriti. Qualche mese dopo anche a Battipaglia (Salerno) uno sciopero generale verrà soffocato nel sangue con altri due morti e centinaia di feriti.

Nel mondo è la guerra del Vietnam ad imporsi all’attenzione di tutti. Lì un piccolo popolo dopo aver resistito eroicamente alla aggressione degli USA, nel gennaio di quell’anno aveva lanciato la cosiddetta “offensiva del Tet” che segnava l’inizio della sconfitta militare della superpotenza americana. Anche se la guerra si sarebbe protratta ancora per anni tra orrori inenarrabili e stragi di innocenti come quella di marzo nel piccolo villaggio di My Lai.

Ma se gli Stati Uniti perdono l’onore e la faccia in Vietnam, anche per l’altra potenza a loro contrapposta l’URSS l’inizio della fine comincerà nell’agosto “68 con un atto di prepotenza militare: l’invasione in agosto della Cecoslovacchia per soffocare la “Primavera di Praga” guidata dal comunista “eretico” Alexander Dubcek.

Altre grandi emozioni e riflessioni di fronte all’assassinio compiuto in aprile a Memphis (USA) di Martin Luther King, alfiere dei diritti civili degli afro-americani, seguito poco dopo (giugno, Los Angeles) dall’uccisione di Robert Kennedy, fratello del presidente ucciso a Dallas e aspirante candidato democratico alle presidenziali di novembre.

Un anno denso di avvenimenti che hanno cambiato il mondo e la vita di milioni di uomini. Per me è stato anche l’inizio di una nuova vita. Dal piccolo paese natio aggrappato su una collina del versante jonico reggino dove povertà e carenza di futuro la facevano da padroni, e che continuo ad amare con passione, alla “città giardino” bella, moderna e ricca, che mi ha offerto l’opportunità di crescere e vivere una vita degna di essere vissuta. Qui, dopo appena due mesi dal tanto temuto “esame di stato”, avevo preso la residenza e cominciato la nuova esperienza di studente universitario/lavoratore.

Tra qualche mese potrò così festeggiare il mio cinquantesimo anniversario di “varesino adottivo”.

 

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