Una sorta di contemporanea tragedia shakespeariana, dove un omicidio preannunciato da folli atteggiamenti, si miscela con la latente lotta fra ceti degli anni ‘80. “La casa del sì” di Wendy MacLeod, portata in scena al Teatrino Santuccio di Varese dalla Compagnia “Teatri della Psyché”, è stata definita un’autentica obsidian-black comedy. Siamo agli inizi degli anni ’80, nell’elegante e raffinata casa borghese dei Pascal a Washington D.C., il Giorno del Ringraziamento, a vent’anni dall’assassinio del presidente Kennedy.
Il giovane Marty torna con la fidanzata Lesly, genuina quanto sincera commessa “che profuma di zucchero”, esponente di un mondo diametralmente opposto a quello dei Pascal (merita una nota di merito Francesca Gemma che interpreta il ruolo).
Li attendono la madre nevrotica, vedova, gelida ed equivoca, il fratello Anthony e la sorella Jackie-O con la quale Marty aveva avuto un rapporto incestuoso. Jackie-O, gelosa e dipendente da massicce dosi di psicofarmaci, è legata al ricordo dell’omicidio del presidente Kennedy che ha lasciato tracce indelebili nella sua psiche. Ossessionata e incoraggiata dalla madre, Jackie-O rinnova con Marty il vecchio gioco rituale della messinscena dell’assassinio di John F. Kennedy. Questa volta, però, con una pistola carica.
Alla tempesta che imperversa fuori corrisponde, nel breve lasso di tempo di una notte, la tempesta domestica, dove la politica familiare si confonde con l’allegoria politica.
La messa in scena dalla Compagnia “Teatri della Psyché”, diretta da William G. Costabile Cisco, spinge molto sugli scheletri negli armadi e i cadaveri in giardino dell’intreccio narrativo e, con una semplice ma efficace alternanza di zone luminose sul palco, permette al pubblico di seguire la vicenda. Qualche tempo fa la MacLeod ebbe a commentare: “The title came from a graffiti I saw written on a bathroom wall: “We are living in a house of yes.” And that made me think about Edgar Allan Poe. The play is about people that have never been said no to”.
Nella serata varesina il pubblico è stato numeroso ed in massima parte giovane. Non male per un teatro spesso tacciato di isolamento e di “scomodità strutturale”.
Più rapida ed incalzante rispetto al testo scritto, più drammatica e noir rispetto alla trasposizione cinematografica di Mark Waters, la storia portata sul palco dai “Teatri della Psyché” è riuscita anche grazie ad un approfondito sviluppo dei temi dell’amore romantico e di quello passionale, del materialismo, della liberazione catartica dalle proprie preoccupazioni e del riscatto personale. Tornano alla mente alcuni brandelli di American Beauty. Ma quella, sì, è un’altra storia.
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