Oscar Wilde, fra le tante, realizzò un’opera che, giocando sull’ambiguità, vero filo conduttore della sua intera esistenza, mette in luce come un semplice nome, Ernesto, grazie alla particolare fonetica della lingua inglese possa essere scambiato per “onesto”, e dare il là ad incomprensioni, fraintendimenti e situazioni tragicomiche.
Ciò per dire che in realtà un nome od un cognome non significano proprio nulla di più dei sentimenti di chi quel nome ha scelto di dare al proprio figlio, o per rispettare una tradizione familiare, o per ispirazione personale o per fede religiosa. Altrettanto, se non di più per i cognomi, identificativi di mestieri, professioni, zone d’origine o casati nobiliari.
In questi giorni, in cui ben altre preoccupazioni dovrebbero turbare l’animo degli italiani, la Procura della Repubblica di Milano ed il tribunale di Genova non trovano di meglio da fare che convocare due famiglie per tentare di imporre ad una di cambiare il nome dato alla figlia, Blu; all’altra di cambiare nome e cognome, Benito Mussolini, ai propri ripetitivi figli.
Nel primo caso il nome Blu dato ad una bambina non consentirebbe di individuarne il sesso; nel secondo caso il nome Benito Mussolini secondo il Tribunale di Genova “non è accettabile”.
A prescindere che ritengo che ognuno abbia il diritto di chiamare i propri figli come meglio crede, non riesco a capire cosa ci sia di inaccettabile nel cognome Mussolini, portato da quella famiglia da centinaia di anni e nel nome di Benito, che era del nonno del bambino. A meno che siamo fermi a quando le parole, e non le azioni o i programmi, facevano paura.
Per non parlare poi della bambina Blu.
Il blu è un colore come lo è il bianco, il rosa, il celeste, l’azzurro e via discorrendo; dicono che esprime uno stato dell’animo e simboleggia la calma, la tranquillità e l’equilibrio nella sfera emotiva. Non credo che la Procura di Milano possa imporci di essere tutti nervosi ed irascibili.
Ma ve lo immaginate se dovessimo chiedere, per esempio, a Celestino quinto di cambiare nome oppure, per punizione, di sottomettersi a Carlo D’Angiò.
Solo a titolo di cronaca per esempio, il nome Andrea, che deriva dal greco “Aner, Andros etc”, radice etimologica della scienza denominata andrologia, che studia, per curarli, alcuni problemi maschili, significa uomo; eppure in Germania è un diffusissimo nome femminile.
Ho conosciuto alcune Andrea nella mia vita, e vi garantisco che nulla avevano di mascolino. Questo per ribadire che ai nomi va dato solo il significato di poter chiamare una persona. Nessun nome è offensivo e men che meno portatore di disdoro o di vergogna.
Vivo a Catania ormai da moltissimi anni e certe volte penso a come si sarebbero trovati gli appartenenti al casato dei Biscari, antica e nobilissima dinastia siciliana, discendente da Gualtiero Paternò capo stipite fin dall’anno mille, se fossero vissuti a Firenze. E ciò mi porta indietro di oltre 50 anni, quando a Varese la vittima predestinata dei nostri scherzi giovanili, era un bottegaio artigiano di cognome Pirla.
In conclusione, per dirla con Totò, decidiamo una buona volta se vogliamo essere uomini o caporali.
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