In un libro sostenemmo che una delle prime emergenze nazionali di questo Paese è l’emotività e dopo il 4 marzo siamo ancora più convinti di ciò. Di questo dobbiamo ringraziare un po’ anche i media del sistema che stanno sostenendo tutto e il contrario di tutto, perfino tesi iperboliche se non addirittura strampalate, pur di dare addosso ai due partiti più antisistema – quindi contro di loro – mai esistiti, che in queste ore potrebbero ricevere il mandato di governare il nostro Paese. E, invece, se c’è una categoria che potrebbe ancora costringere la classe dirigente a ritrovare il senno perduto è proprio quella dei giornalisti, se facesse bene il suo lavoro: informare con martellante onestà, senza fare sconti a nessuno!
Su Berlusconi, ad esempio, i media passano frequentemente da una iperbole all’all’altra: ora lo dipingono come la causa di tutti i mali italiani dell’ultimo quarto di secolo, ora ne fanno una sorta di martire. Siamo persuasi che l’ex Cavaliere non sia stato né l’una, né l’altro e che, in realtà, abbia rappresentato soltanto la prosecuzione o la degenerazione del craxismo. Ma questo è un altro discorso.
Veniamo a questi giorni. Dopo il voto del 4 marzo, nonostante una legge elettorale indecente, è apparso in tutta evidenza che la maggior parte degli elettori avrebbe gradito un governo M5S-Lega e che l’unico ostacolo a questo matrimonio era rappresentato dalla presenza di Berlusconi, quale alleato di Salvini, nella coalizione del Centrodestra. Ciò perché i Cinque Stelle, che già avevano disgustato la loro base mentre si stavano calando le braghe col PD del loro nemico numero due, il riottoso Renzi, non potevano abdicare anche al principio che Berlusconi fosse stato il loro principale nemico, l’incarnazione stessa del Male.
Berlusconi, d’altro canto, costatato che non vi erano i numeri in Parlamento per potere essere decisivo per un governo Di Maio – Salvini, preso atto che in una nuova elezione Forza Italia avrebbe corso il rischio di scomparire dal panorama politico e che, pertanto, i suoi parlamentari avevano voglia di affrontare una nuova tornata elettorale come Dracula la luce del giorno, ha dovuto realizzare di non contare niente. Ecco allora il beau geste: «Nulla contro la formazione di un governo Di Maio – Salvini». Come all’indomani del 4 marzo non si capì se le ambigue parole di Matteo Renzi fossero delle dimissioni reali o meno da segretario del PD, così non si capì se il placet di Berlusconi fosse di appoggio, di astensione o di sfiducia ad un governo M5S – Lega.
Ebbene, soltanto perché l’ex Cavaliere ha dovuto prendere atto di contare come il due a briscola nella trattativa per la formazione di un nuovo governo, molti media lo stanno dipingendo in questi convulsi giorni come una specie di Pater Patriae dell’antichità latina. Poi, con un tempismo oggettivamente sospetto, la magistratura ha buttato tra le gambe di Salvini la rieleggibilità di Berlusconi che, da quel momento, è passato da una posizione di schifata neutralità ad una posizione schifata e basta, pur non rompendo l’unità formale del centrodestra e proponendosi addirittura come suo indignato leader. Leader di che cosa se Di Maio non vuol sentire parlar di lui, né Salvini del PD di Renzi, dal momento che al Largo del Nazareno comanda ancora lui?
Non sappiamo e non crediamo che Berlusconi abbia mai pensato di poter diventare il padre della Patria se non in senso biblico, stando i suoi affollati ginecei, ma sta di fatto che così lo sta dipingendo certa stampa nazionale e non solo. Angela Merkel, ad esempio, in questi giorni ha avuto parole di apprezzamento per lui. Ma scusate, costei non è la stessa che se la rideva assieme all’inquisitissimo Sarkozy dell’allora Cavaliere, durante il vertice europeo del 23 ottobre 2011? Mah, sarà che per non scompigliare i piani di Berlino nell’UE va bene tutto, ma proprio di tutto, questi interessati endorsement europei, assieme allo spread telecomandato, stanno rendendo ancora più incomprensibile agli italiani ciò che sta accadendo in questi giorni.
La faccenda, in realtà, è più intellegibile di quel che appare: a Berlusconi, anche se “riabilitato”, non convengono elezioni a breve termine perché consegnerebbero la guida del Centrodestra a Salvini; non può mettere insieme un inciucio con Renzi perché questi non ha i numeri occorrenti, ergo dovrà trovare per forza un accordo col governo che in queste ore – salvo diverso avviso del Quirinale – pare debba essere assegnato a Giuseppe Conte, un avvocato e insegnante di diritto che non ha mai fatto politica. E il fatto che il premier designato da Salvini e Di Maio non sia un grillino arrabbiato che glie l’ha giurata, depone a favore di questa ipotesi e indurrà Berlusconi a tenere il coperchio calcato sulla pentola del Centrodestra che, pur non essendo unito su niente, manterrà un’alleanza di facciata. Ciò perché in ordine sparso il partito più forte al suo interno – la Lega – aggregherebbe fatalmente gli elettori degli altri due. Anzi, per dimostrare che lui conta ancora qualcosa nel Centrodestra, non escludiamo che Berlusconi possa farsi mallevadore di gruppetti “responsabili” che vadano a rimpolpare le truppe gialloverdi.
La vera crisi del Centrodestra, dunque, potrebbe arrivare dopo la formazione del governo, quando Berlusconi sarà chiamato a fare i conti anche con un’altra realtà: ovunque si presenta fa incetta di ovazioni ma non di voti! In Valle d’Aosta, l’ultima tornata elettorale in ordine di tempo, la Lega ha fatto ancora il pieno mentre Forza Italia è addirittura sparita dal consiglio regionale.
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