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Politica

GOVERNO DELLA DIFFIDENZA

EDOARDO ZIN - 25/05/2018

contrattoNon mi piace il termine “contratto di governo” quello stipulato tra Di Maio e Salvini. Sa molto di “diritto privato”, che riguarda i rapporti tra due individui, mentre il rapporto che lega il cittadino-sovrano-elettore allo Stato riguarda la sfera pubblica e ha come fine non il bene di questo o quell’individuo, del mio o del tuo partito, ma l’interesse generale. In un sistema proporzionale come il nostro si dovrebbe usare il termine “accordo di coalizione” o “programma di governo”.

Come pure non mi piace la locuzione “comitato di conciliazione” creato per facilitare gli eventuali contenziosi che dovessero sorgere tra i due contraenti dell’accordo: sa molto di direttorio di antica memoria rivoluzionaria francese o di politburo o di Gran Consiglio del Fascismo.

Non è solo questioni di termini, ma di sostanza. In una Repubblica parlamentare come la nostra spetta al Presidente del Consiglio guidare la coalizione, agevolare l’armonica attuazione del programma, frutto del lavoro collegiale, per presentarlo successivamente all’approvazione del Parlamento. Ho l’impressione che gli esecrati “incontri attorno al caminetto” vengano ora sostituiti dall’attività di un capo del governo che ha la mera funzione di essere il portavoce di una compagine che non si fonda su legami fecondi, ma su una reciproca diffidenza.

L’incontro tra 5 Stelle e Lega, che prima delle elezioni si calunniavano a vicenda, è contrastante: il primo è un movimento appassionatamente idealistico, irreale, il secondo è pragmatico: pensa che per cambiare le cose basti uno schiocco di dita, mentre per governare occorrono il coraggio della pazienza, come ha dimostrato il presidente Mattarella, oltre che confronto di idee, verifica delle rispettive posizioni e, se necessario, sincero riconoscimento delle ragioni dell’altro.

Ecco il primo legame che manca al nuovo governo: quello della fiducia reciproca che è fondamentale per condurre un popolo nell’oggi del tempo e nel futuro. Gli manca la politica: non quella che risolve i “miei” problemi, ma quella che condivide i “tuoi” valori, le tue idee e i “tuoi” problemi in maniera di risolvere i “nostri” problemi. Manca, cioè, un cemento culturale che armonizzi l’opera di un esecutivo!

E che dire del programma (pardon, contratto)? Mi sembra un’abborracciata lista della spesa che comprende alcune richieste – molto attenuate – di uno o dell’altro consumatore, scritta in fretta e furia e segnata da una certa dose di superficialità, di dilettantismo e di velleitarismo. Attorno ad un caminetto si conversava per trovare le idee che si condividevano e che si attuavano nel programma, attorno al tavolo ovale di in una stanza della Regione Lombardia (divenuta per il momento sede istituzionale del futuro governo dello Stato) tra computer, blocco notes, bottiglie di coca-cola, i presenti in maniche di camicia (per esprimere che il loro lavoro è massacrante come quello di un operaio edile!) tribolavano per far inserire nel cestello della spesa questo o quel prodotto tanto propagandato durante la campagna elettorale: a me i seicentomila emigrati da espellere nel giro di ventiquattro anni, la flat-tax, l’abolizione della legge Fornero, i campi rom da abbattere, gli asili nido solo per gli italiani, la pace fiscale con i contribuenti che possono sanare affabilmente i loro debiti; a te un mitigato reddito di cittadinanza, la gestione dell’acqua pubblica attraverso la costituzione di una società di servizi (ma come? Non sanno, ad esempio, che la nostra ASPEM è una società gestita da enti locali e non ricordano più che in campagna elettorale avevano promesso l’abolizione delle partecipate?), una nuova legge sui vaccini, l’abolizione dei vitalizi per i parlamentari.

Quando si presenteranno alla cassa (ragioneria dello Stato, Corte dei Conti, Commissione Europea) come faranno a remunerare il conto della spesa che si aggira attorno ai 70 – 100 miliardi? Chi dovrà pagarlo?

Ecco il secondo legame che manca: si fa presto a pronunciare le promesse, ma non si dice dove si troveranno le risorse per adempierle. Solo la visione irenica ed astratta del contratto può occultare ai cittadini la verità e nel contempo far aumentare la conflittualità tra le forze al governo e tra la sua politica ed i cittadini.

Ma ben più grave è ciò che manca: il sud e l’Europa: i “terroni” di venerata memoria e gli esecrati mercati nemici del popolo, i tecno-burocrati “non eletti da nessuno” (ma al momento in cui scriviamo, sembra che il prossimo Presidente del Consiglio sia una rispettabilissima persona “non eletta dal popolo”!). Qualcuno ha scritto che il massiccio consenso del sud dato a Di Maio è “la vendetta dei luoghi che non contano” e mi sento di condividere questo giudizio. È un monito per il futuro governo: attenzione alla collera della povera gente che è sempre foriera di risentimento che può sfociare nella devastante potenza dell’impotenza A Salvini, che ha sbraitato: “Prima l’Italia. Vogliamo essere padroni in casa nostra”, voglio ricordare che si è liberi solo quando non si hanno debiti e, quando abbiamo debiti, abbiamo i padroni in casa.

Le forze sovraniste ed antieuropee hanno archiviato il voto con evidente soddisfazione. Stiano attenti, però. Il vento in Europa sta per cambiare nuovamente: nello stesso Regno Unito gli anti-Brexit hanno sventolato il vessillo europeo per non confondersi con gli indipendentisti di Farage, centomila ungheresi sono scesi in piazza contro il loro premier oscurantista Orban intonando l’inno dell’Europa alla quale chiedono di non essere dimenticati, in Spagna la gente va in strada per disapprovare i moti separatisti catalani, in Francia e nei Paesi Bassi sono riusciti a sminuire l’avanzata dei nazionalisti, in Austria la destra ce l’ha fatta ad andare al potere, ma la rassicurante presenza di un’ affidabile persona come il presidente della repubblica le toglie tutte le velleità nazionalistiche.

Ecco il terzo legame che manca: l’adesione convinta al processo d’integrazione europea. Anche a me questa Europa non piace e voglio cambiarla non rassegnandomi che questo progetto di pace, di prosperità, di solidarietà venga soppresso dalla devastante trionfo di coloro che non conoscono la storia. Non voglio assistere all’agonia di un’Europa politicamente unita e attiva nel mondo a causa di chi difende gli interessi del proprio orticello privato e non vede nell’Europa una grande opportunità per avere un futuro a misura d’uomo.

Il nuovo governo dovrà scegliere tra l’interdipendenza in un mondo globalizzato e la sovranità nazionale. C’è bisogno in Italia di un forte partito europeista: potrebbe essere l’occasione per mettere assieme i frammenti sparsi, slegati e rifondare un patto che punti a compattare i legami. I cristiani dovrebbero essere in prima fila. Ma devono ritornare ad essere credibili.

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